Stregò Ferguson e convinse Mou: chi è Pereira, un fantasista per la Lazio

Anni fa era considerato una grande promessa, poi ha faticato un po’. Granada, Valencia, da due anni gioca e non gioca allo United. E’ il rinforzo numero uno di Tare per la trequarti

Francesco Pietrella @frapietrella

28 settembre – Milano

Parlategli di “comfort zone” e cambierà espressione. Non la ama. Andreas Pereira preferisce il rischio fin da ragazzino, quando era l’unico del Psv a parlare portoghese: “Vado in campo e mostro chi sono”. Lazio avvertita, Inzaghi pure, perché Tare l’ha puntato: il nome per la trequarti è lui.

Papà e Sir Alex

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Si descrive così: “Testa da europeo e piedi da brasiliano”. Questione di origini. Andreas è nato in Belgio perché papà Marcos giocava lì, faceva l’attaccante e si è ritirato nel 2010, diventando il suo coach a tempo pieno. “Filmava le partite e poi mi faceva vedere come migliorare, gli errori che avevo fatto”. Un continuo. “Spesso non volevo parlare di calcio e gli rispondevo male, ma lui insisteva. Diceva che mi sarebbe servito”. Così è stato. Nel 2011, dopo sei anni nelle giovanili del Psv, Pereira prende un volo per Manchester e non torna più. Firma con lo United di Ferguson, leggenda d’oltremanica, l’uomo che quando arrivò lo salutò in portoghese. “Ho pensato come diavolo facesse a saperlo. Era solo un dettaglio, ma mi convinse a scegliere lo United”. Sir Alex lo andò a visionare in Olanda da vicino e poi ne parlò così: “Andreas è un talento incredibile e può diventare quello che vuole, ma deve volerlo lui”.

Ruolo

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Oggi Andreas è ancora lì, ha debuttato a 17 anni in Coppa di Lega contro l’MK Dons (2014) e l’anno scorso ha giocato 40 partite (25 in Premier con un gol e tre assist). Nel mezzo un paio di prestiti: 2016/17 a Granada (5 reti in 35 partite, con retrocessione dalla Liga), l’anno successivo a Valencia (uno solo squillo in 25 gare). Lo mandò Mourinho. “Fosse stato per lui sarei rimasto, ma volevo giocare”. Avere spazio. Tra i due c’è sempre stato feeling, per lo Special One Andreas è un “calciatore con grandi potenzialità”, ma “dovrebbe lavorare meglio”. Il riassunto di una carriera che avrebbe potuto offrirgli anche di più. Momento: Pereira ha 24 anni, una carriera davanti e la possibilità di andare alla Lazio per giocare la Champions. A 18, però, sembrava dovesse portare il calcio sulle spalle come Atlante.

Promessa

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Nel 2013 vinse la Milk Cup da miglior giocatore del torneo (uno dei più importanti a livello giovanile). Nel 2015, con il Brasile di Gabriel Jesus, arrivò secondo al Mondiale U20 dopo aver fatto la trafila delle giovanili con il Belgio. Questione di cuore. “Mi sono sempre sentito brasiliano”. E la Seleçao lo fece esordire nel 2018 contro El Salvador, scrivendo la storia: era da più di cent’anni che la nazionale verdeoro non faceva giocare un calciatore nato in un altro paese. Ci voleva Pereira, il ragazzo che ha tre case: “Belgio, Brasile e Inghilterra”. E un papà premuroso, anche ansioso: “A fine partita mi chiama per chiedermi il motivo delle giocate che faccio”. Padri attenti. Ragazzo a modo lui, nessuna uscita di testa. Solo una in vita sua. In un’intervista diede dell’arrogante a Van Dijk e del noioso a Milner, poi si scusò. Curiosità: ha un profilo Instagram con 2,4 milioni di follower e nessun post.

Skills

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Dicono di Andreas. “Può giocare ovunque”. “Vuole sempre la palla”. “Potrebbe diventare una star”. A Manchester lo pensavano tutti, soprattutto Paul McGuinness, ex allenatore nelle giovanili Reds. “Poteva fare tutto, scommetto sul suo talento”. Anche Mourinho. “Quando ero a Valencia mi scriveva sempre”. Parola di Pereira, il ragazzo dai mille ruoli: in carriera ha fatto il trequartista, la mezzala, l’esterno e la seconda punta. Destro di piede, segna poco (solo dieci gol tra i pro) ma ha qualità. Nella Lazio potrebbe giocare dietro Immobile o da vice Luis Alberto, o magari insieme in un cambio di modulo. Solskjaer gli ha dato fiducia: “Per me è stato enorme, gli devo molto”. Soprattutto un premio: il suo destro a giro dai 25 metri contro il Southampton fu votato gol dell’anno dai tifosi Reds nel 2018/19. “Piedi da brasiliano”. Da Dinho e Juninho studiava le punizioni, in carriera ha segnato tre volte da calcio piazzato e una da calcio d’angolo, contro il Tottenham U21 nelle giovanili. “Puro istinto”.

Idoli

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Si ispira a Kakà, ma tra le sue skills non c’è mai stata quella progressione. Si definisce “un centrocampista moderno che ama attaccare”. Tradotto: dategli la trequarti e sarà l’arma in più, un po’ meno in difesa. A Inzaghi il compito di veicolarlo in un sistema di equilibrio e schemi. Del resto è nel suo stile, rischio e personalità. Nessuna comfort zone.

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