Stratega Marotta: da Pirlo-Pogba a Barella-Lukaku: con Agnelli e Zhang, sempre al top

Prima ha ricostruito alla Juve, tra grandi colpi e parametri zero, poi ha accettato e vinto la sfida con l’Inter, rompendo la dinastia bianconera

Raccontano che quando nell’ottobre 2018 Andrea Agnelli gli comunicò l’addio, proponendogli una conferenza stampa congiunta come fece poi per Allegri e Paratici, Beppe Marotta disse no e preferì andare subito in tv nel post partita di Juve-Napoli per raccontare di persona che non sarebbe stato più l’amministratore delegato della Juventus, lasciando capire che non era stata una scelta sua. Fu una decisione che subì e che lo colse anche piuttosto di sorpresa, ma il giorno dopo pensava già al futuro e aveva chiaro in mente dove avrebbe potuto aprire un nuovo ciclo: all’Inter di Zhang, con cui c’è sempre stata una grande stima, dove c’era bisogno di uno come lui, abile sul mercato e nelle relazioni diplomatiche, l’uomo giusto per ritornare sul tetto d’Italia. D’altronde alla Juve Marotta aveva fatto esattamente quello: ricostruire.

Aveva trovato una squadra reduce da un settimo posto e dopo un primo anno buio (ancora settimi) iniziò il percorso verso la rinascita. Sette scudetti in otto anni, sette Juve diverse, l’ultima sempre più forte di quella precedente. Fino all’acquisto di Cristiano Ronaldo, che portò alla ribalta Paratici, suo braccio destro dai tempi della Samp, e forse fu la molla che spinse Agnelli ad accelerare il rinnovamento dirigenziale. Marotta a Torino aveva costruito la macchina perfetta, con il giusto mix di grandi colpi e parametri zero (preziosissimi). Tra tanti campioni, forse il simbolo marottiano è Andrea Barzagli, preso a gennaio 2011 dal Wolfsburg e andato via dopo aver vinto 8 scudetti. La lista però è lunga: da Pirlo a Dani Alves, da Khedira a Pogba (rivenduto per 105 milioni allo United e plusvalenza record da 72 milioni), tutti arrivati a Torino gratis, fino ai 90 milioni spesi per strappare Higuain al Napoli per rimpiazzare Tevez, preso dal City per soli 9 milioni. Ma anche Vidal, Pjanic, Bonucci comprato due volte e naturalmente Dybala, 40 milioni al Palermo nell’estate nel 2015. Fu Marotta a condurre la trattativa per il rinnovo di contratto della Joya nel 2017, missione in cui hanno fallito i suoi successori. Ora la Juve lo perderà a zero e lui è pronto ad approfittarne. Tra le scelte azzeccate, anche gli allenatori: da Conte ad Allegri, che provò a portare pure a Milano prima che firmasse di nuovo con i bianconeri. Marotta è sempre stato bravo nel lavoro diplomatico e a gestire situazioni delicate: fu lui a convincere Tevez, che voleva tornare in Argentina già nel 2014, a restare un anno in più.

Ed è stato lui a rimettere insieme i pezzi di un’Inter che sembrava già a fine progetto l’estate scorsa, con i problemi finanziari legati alla pandemia, l’addio di Antonio Conte e quello di Hakimi e Lukaku. Molti avrebbero gettato la spugna, Marotta – insieme ad Ausilio – ha abbassato la testa e ha cominciato “a pedalare”, convincendo prima Simone Inzaghi a mettersi in gioco a Milano, poi gli altri campioni a non spaventarsi dopo la cessione di Big Rom, perché l’Inter sarebbe rimasta ai vertici. L’avventura all’Inter, del resto, è stata complicata sin dal via. Arrivato a stagione in corso nel dicembre 2018, Marotta si è trovato subito a fare i conti con lo spinoso caso Icardi e un rinnovo da rinegoziare. A febbraio arrivò la rottura col capitano, poi via alla rivoluzione. Ha convinto Conte a sposare il progetto Zhang, poi gli ha preso Barella (40 milioni), Sensi e soprattutto Lukaku, sborsando 65 milioni più 10 di bonus. Prima della pandemia arrivò Eriksen e prima del blocco agli investimenti era già stato definito l’arrivo di Hakimi per 40 milioni. Così, insieme a Conte, hanno messo a punto la rivincita perfetta, mettendo fine alla dinastia Juve che loro stessi avevano avviato. Alla Juve resterà sempre legato, ma oggi c’è solo l’Inter. E non è soltanto una canzone.

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