Speravo de morì dopo

«Oh, ma non è possibile, io accendo per vedere il sorteggio della Roma e parlano solo del Milan». Fabio, ventun anni, irrimediabilmente romanista, ce l’ha con Sky. Sono passate da poco le 13: sorteggiati i quarti di Champions, tocca a quelli di Europa League, l’attenzione del tifoso sull’unica sopravvissuta di un calcio in crisi tecnica e di identità. Il nostro. La passione reclama il giusto spazio. Lo ottiene subito dopo l’accoppiamento con l’Ajax. Da quel momento la Roma viene eletta a tema unico del pomeriggio con sentimento, e vai di Fonseca, Mangiante, dei gol di Borja Mayoral e ancora Mangiante, Pellegrini, Mancini. Per qualche ora la Magica esce dal Grande Raccordo Anulare realizzando – occasionalmente – il sogno che aveva coltivato Pallotta con l’assunzione di Umberto Gandini, ex vice di Galliani al Milan ed ex Eca. Gandini international durò come un gatto in tangenziale: nel giro di alcuni mesi venne impallinato dai pallottiani di Trigoria. Parafrasando per la duecentesima volta Rudi Garcia, la Roma è improvvisamente tornata al centro del villaggio. Ne siamo piacevolmente invasi: la squadra di Fonseca è, come detto, l’unica esponente della serie A all’Eurofestival. Nei quarti di Champions sono presenti i migliori interpreti di tante stagioni: da Florenzi, Marquinhos e Paredes (Psg) a Rüdiger e Emerson Palmieri (Chelsea), fino a Alisson e Salah (Liverpool). Ma non è tutto: De Rossi è appena entrato a far parte dello staff della Nazionale; Sky Original sta trasmettendo le prime puntate di “Speravo de morì prima”, la miniserie dedicata a Francesco Totti e alla demolizione di Luciano Spalletti che, giustamente, ha preso d’aceto; Ilary Blasi conduce l’Isola dei Famosi su Canale 5 trasferendosi dallo studio alla palapa e dalla patat… pardòn, dalla palapa alla spiaggia Parasite. E che non lo sappia Bong Joon-ho. Non mi stancherò mai di ripetere che l’aspetto più sorprendente della prima Roma dei Friedkin è la genesi. La squadra è il prodotto di tutto quello che non fa programmazione: la proprietà è cambiata a poche ore dall’inizio della stagione; in precedenza il responsabile tecnico, Petrachi, era stato prima sospeso e poi allontanato (ha peraltro vinto la causa); il mercato (di riduzione della voragine) l’ha portato avanti l’amministratore delegato esperto di formazione economica, Fonseca è finito in discussione già a settembre, nello stesso mese il giocatore più talentuoso, Zaniolo, si è rotto l’altro ginocchio, infine il centravanti strapagato, Dzeko, si è ritagliato il ruolo del separato in casa.

Il claim stagionale della Roma, che proprio nella debolezza dei rapporti interni ha mostrato la sua forza, potrebbe essere “Speravo de morì dopo”. Ovvero dopo una serie infinita di azioni di disturbo e di disgrazie, dopo una tempesta di incomprensioni, diffidenze e pregiudizi e dopo tutte le altre – Juve, Inter, Lazio, Atalanta, Napoli e Milan – in coppa.

Il mistero solleciterebbe una bella inchiesta. Sí, come quella sul crollo nelle coppe, oh quante belle voci, peccato cantassero un de profundis al calcio italiano. Vuoi mettere un bel dibattito su un tema positivo con la Roma al centro delle riverenze! Ci ho provato, ma la prima risposta degli eredi stagionati di Brera – “Questo è il calcio, bellezza, mistero senza fine bello” – mi ha dissuaso. Ho così accolto il secondo consiglio di un altro secolare: «Godiamocela finché dura e speriamo che duri più del film di Francesco che finirà con le lacrime agli occhi». Ridere, voglio ridere.

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