Luciano Spalletti ha preso molto bene la mira perché è un entusiasta. E lo ha fatto nel preciso momento in cui la storia di un allenatore – nello specifico la sua, non un dettaglio – ha imboccato il bivio che separa la normalità, pur con vittorie annesse, dal mito (calcistico, si intende) in cui ci si può issare attraverso la Nazionale.
Perfettamente a proprio agio nel “dress code” da comandante tecnico del calcio italiano, Spalletti non ha distillato la propria emozione, che era davvero tanta, ma l’ha sublimata nel racconto debordante di se stesso e della sua visione di calcio.
Spalletti e il futuro dell’Italia
Sì, d’accordo: il pressing, l’occupazione degli spazi e tutto il resto fanno parte dell’armamentario tecnico di ciascun allenatore, la differenza la fa il modo in cui li sai narrare e trasfigurare in immaginazione. Ecco: Spalletti quel modo lì lo conosce benissimo e da qualche tempo ha imparato a non restarne soggiogato lui per primo, anche grazie agli uomini che lo circondano. È affascinante il modo in cui si è potuta misurare plasticamente l’apertura di questo nuovo corso azzurro: la debordante, e suggestiva, narrazione del ct controbilanciata dai silenzi consapevoli e complici del suo gruppo di lavoro. Una sintesi che racconta come il futuro della Nazionale azzurra sia nelle mani giuste. A cominciare dal fatto che, spente le luci della ribalta e abbassati i toni della legittima retorica, il primo argomento di discussione nelle chiacchiere informali riguardasse la consapevolezza della difficoltà che li aspetta.

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