Sorrentino: “Perché credo nel potere semidivino di Maradona”

Il regista in concorso con “È stata la mano di Dio”, film personale e profondo che si muove nella Napoli di Diego: “È apparso da una grotta, quella del San Paolo, poi è morto, risorto e diventato martire”

dalla nostra inviata Elisabetta Esposito

2 settembre – VENEZIA

È vero, “È stata la mano di Dio” non è un film su Maradona. Ma la presenza di quello che Paolo Sorrentino definisce “il più grande calciatore di tutti i tempi” accompagna costantemente la straordinaria opera del regista napoletano presentata oggi in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel film autobiografico e intimo in cui racconta la tragedia della perdita dei genitori (interpretati da Toni Servillo e Teresa Saponangelo, mentre il giovane protagonista è Filippo Scotti) sono tanti i riferimenti a Diego. Già prima dell’inizio c’è una citazione del Pibe de Oro: “Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male”. E Sorrentino, che superati i 50 anni ha trovato il coraggio per raccontare se stesso e il suo dolore, commenta ora: “Dovendo fare un bilancio posso dire che mi ci rispecchio, solo che per me va letta in modo realistico, detta da Maradona faceva ridere!”.

il fascino di Diego

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Il film, che sarà nei cinema dal 24 novembre e su Netflix dal 15 dicembre, prende il via prima dell’arrivo del numero dieci argentino al Napoli. Anche a casa Sorrentino, che qui ha il cognome Schisa, se ne parla costantemente. Ne parla Fabietto, ovvero il giovane Paolo, ne parla suo fratello (“Se dovessi scegliere tra una chiavata con zia Patrizia e Maradona al Napoli?”), ne parla il padre (“Secondo te Maradona viene dint’a stu cess’?”), ne parla lo zio Alfredo (“Io se Maradona non viene a Napoli mi uccido”). E Maradona arriva. Fabietto lo avvista in città ancora prima dell’ufficialità. “E lo vidi davvero – racconta oggi Sorrentino – all’angolo tra via Piave e Corso Europa, fu un’apparizione come la Madonna di Civitavecchia. Del resto Maradona a Napoli è venuto fuori da una grotta, quella del San Paolo, non ci sono foto di lui all’aeroporto: Maradona è apparso, è morto, è risorto e diventato martire, ha molto in comune con le figure mistiche. È quello che mi affascina, al di là del calciatore”. Calciatore che nel film si vede anche durante un allenamento, impegnato a battere le punizioni, con il fratello maggiore di Fabietto che ne elogia “la perseveranza” che lui non avrà mai. Ma Maradona è soprattutto il motivo per cui Fabietto, ovvero Paolo, non segue i genitori nella villetta di Roccaraso dove moriranno per una fuga di monossido di carbonio. “Diego mi aspetta”, dice il ragazzo ai suoi spiegando perché non potesse rinunciare alla gara tra il Napoli e l’Empoli. Nel film è lo zio Armando che esplicita il potere salvifico di Diego: “È stato lui! È stata la mano di Dio!”.

il rimpianto

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Del resto che Sorrentino sia devoto a Diego Armando è cosa nota. Lo ha ringraziato mentre teneva in mano l’Oscar per “La Grande Bellezza”, lo ha anche inserito in “Youth”. E adesso, mentre la gente si spertica in complimenti per questo nuovo film, confessa: “Mi dispiace non essere riuscito a farglielo vedere, è un mio grande rammarico, ma non era facilmente avvicinabile e non ne abbiamo nemmeno mai parlato. Che cosa ho provato il giorno della sua morte? Si chiama lutto e non si può esprimere con le parole o almeno io non riesco a farlo”. Quindi si parla del titolo del film: “Una frase bellissima e paradossale se si pensa che fa riferimento all’unica parte del corpo che un calciatore non può utilizzare. È metaforica e emblematica, ha a che fare con il caso e con il potere divino. La figura di Maradona per il suo carisma, il suo modo di stare al mondo e la relazione con Napoli e l’Argentina si avvicina a quelle religiose e personalmente io credo nel potere semidivino di Maradona”.

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