Signori esclusivo: "Dieci anni terribili, ma ora scommetto su di me come allenatore"

Signori, com’è stato recitare nel docu-film? 
«Come attore non sono un granché, ma sono stato facilitato dall’interpretare me stesso».

Che giudizio dà della pellicola? 
«La verità? Non ho voluto vederla. Lo farò venerdì alla “prima”, a Bologna».

Quella Bologna dove fu scortato l’1 giugno 2011, arrestato per essere uno dei “capi” del calcioscommesse. 
«Una giornata surreale. Parto da Roma in treno, accompagnato da due agenti in borghese. Mi dicono che mi avrebbero portato in questura senza spiegarmi il perché. Penso che mio padre abbia fatto qualcosa che non doveva con le nostre aziende, poi però arrivano le telefonate, anche quella di mia sorella che mi chiede: “Ma cosa hai combinato?”. Guardo su Internet grazie al telefonino di uno dei due poliziotti e leggo le accuse. Non ci credo».

E risponde con il famoso “Abbiate pietà” a un giornalista che la contatta. 
«Ero un uomo in difficoltà, distrutto da un’accusa improvvisa e inattesa. Mi era crollato il modo addosso. “Abbiate pietà” non era certo un’ammissione di colpa, come qualcuno l’ha voluta leggere».

In questura le foto segnaletiche, le impronte digitali… 
«Come se fossi un criminale in un film. Ero incredulo».

Poi i domiciliari. 
«Dodici giorni devastanti: ero dentro casa mia, ma era come se fossi in una cella. Infine l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice: durò 48 minuti, ma dopo 3 il pm se n’era già andato perché lo riteneva inutile viste le mie dichiarazioni. Mi tolsero i domiciliari, ma non volevo più uscire di casa, vedere o incontrare le persone».

In compenso ha studiato le carte del processo, gli interrogatori, le intercettazioni… 
«E non c’era neppure una mia telefonata intercettata. Il capo che non chiama per dare ordini, che non incontra nessuno dell’associazione. A parte quella famosa riunione nell’ufficio dei miei due ex commercialisti…» (sorride amaro).

Sembra strano in effetti. Lei che idea si è fatto? 
«Semplice: il mio era un nome noto e spendibile per l’inchiesta. Non ero tesserato per nessuna società e mi piaceva scommettere, cosa che tutti sapevano perché non l’ho mai nascosta. Ero perfetto».

Poco fa ha detto «a parte quella riunione nell’ufficio dei miei due ex commercialisti…». Da lì nascono i suoi guai. 
«Quando si è parlato di alterare l’esito di una partita, me ne volevo andare. Rifiutai la richiesta di finanziare la cosa perché non mi è mai passato per la testa di truccare un match».

Per due mesi e mezzo viene pedinato e intercettato, ma gli inquirenti non trovano niente, a parte il così detto “papello” scritto da lei durante quella riunione. 
«Un po’ poco per essere il capo e il finanziatore dell’associazione, non crede? Mi sarei aspettato che il pm, prima di chiedere il mio arresto, domandasse agli altri se ero coinvolto e come. Ma, ripeto, con 200 gol segnati in A ero un bel nome per l’inchiesta…».

Da quel momento Signori esce dal mondo del calcio. 
«Ero stato direttore generale alla Ternana, ma dietro la scrivania non mi sentivo a mio agio. Volevo fare l’allenatore e nel 2010 partecipai al Supercorso a Coverciano. Avevo davanti a me il futuro che sognavo, ma nel giugno 2011 finisce tutto».

E comincia la battaglia giudiziaria. 
«Dieci anni terribili che mi hanno provato dal punto di vista fisico e psicologico. Anzi, hanno provato tutta la mia famiglia, dai miei figli a mia moglie, passando per i miei genitori».

Nel docu-film Mingardi dice: “Chi glieli ridà questi dieci anni?”. 
«Bella domanda con una sola risposta: “Nessuno”. Però ora vado in giro a testa alta. Mi sono battuto per questo. Non ne sono uscito grazie alla prescrizione, alla quale ho rinunciato, o per insufficienza di prove. La mia è un’assoluzione piena perché il fatto non sussiste: articolo 530 comma 1. Un’assoluzione senza se e senza ma».

È diventato anche esperto di legge? 
«Qualcosina ho imparato grazie al mio avvocato, Patrizia Brandi, un angelo. L’ho conosciuta nel 2014 (i precedenti legali gli consigliavano di patteggiare, ndr), mi ha creduto e aiutato. Abbiamo combattuto insieme e vinto».

Così è arrivata la grazia da parte della Figc. 
«È stata importante come l’assoluzione perché, se non si fossero diradate tutte le ombre, la Federcalcio non avrebbe cancellato la radiazione. Sapeste quanto mi è mancato in questi anni l’odore dell’erba… Un attimo, specifichi bene: l’erba del campo da calcio (sorride). Niente equivoci… Voglio fare l’allenatore e, visto il mio passato da giocatore, qualche consiglio ai ragazzi o ai più esperti posso darlo».

Offerte? 
«Nessuna, ma è normale: sono stato fuori dieci anni e ho passato quello che ho passato. Non mi posso scervellare: vedrete che al momento giusto una proposta arriverà. Magari da un settore giovanile. Sono aperto a tutto. In questo mondo ho tanti amici».

Davvero? 
«Tanti sono rimasti sempre al mio fianco. Da Sinisa (Mihajlovic) a quelli che hanno parlato nel docu-film, ma ce ne sono anche altri».

E a chi non le crede neppure adesso, cosa vuole dire? 
«Sinceramente me ne importa poco. Per essere assolto ho rinunciato a patteggiare prima e alla prescrizione poi. Da questa vicenda sono uscito pulito. È bene ribadirlo e che tutti lo capiscano».

Chi vedrà “Fuorigioco – Una storia di vita e di sport” lo capirà… 
«Ho chiesto esplicitamente che non fosse il semplice racconto dei miei gol perché quello che ho fatto in campo lo sanno tutti. Volevo che la gente si rendesse conto di cosa ho provato in questi dieci anni, della vicenda giudiziaria nella quale può finire un innocente. Al tempo stesso però in questa storia c’è un messaggio di speranza: ci si può difendere dalle false accuse e uscirne puliti. Adesso guardo avanti con fiducia, ottimismo e, se mi consente una battuta…».

Prego
«Scommetto su Signori».

Buona questa… 
«Ora posso scherzarci su, ma non auguro a nessuno ciò che è successo a me. Ho avuto la fortuna di poterla raccontare perché mi chiamo Beppe Signori. Altri, chissà…». 

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