Si decide in mezzo: Spagna maestra, ma l’Italia non è più classe operaia

Il c.t. Mancini con Barella, Jorginho e Verratti ha rivoluzionato il nostro modo di palleggiare. A viso aperto contro il guru Busquets e la stella Pedri

Fabio Licari

6 luglio – Milano

Stasera si fa lotta di classe, non è soltanto una semifinale. È l’attacco della classe operaria italiana alla ricca borghesia del centrocampo spagnolo, da una quindicina d’anni l’aristocrazia mondiale. Nascevano tutti lì i fenomeni, come se la molecola “centrocampista” fosse nel loro Dna: Busquets, Xavi, Iniesta, Xabi Alonso, Fabregas, David Silva. Anche adesso non sono messi malissimo, con Busquets, Koke e Pedri in campo, Thiago, Fabian Ruiz e Rodri in panchina, mentre a casa sono rimasti l’incompiuto (ma fenomenale, se vuole) Ceballos, Isco e Saul. Per battere la Spagna dovevi ricorrere al centravanti, alla difesa, al portiere, ma non affrontarli sul loro campo: eri come il famoso cow-boy con la pistola davanti a quello col fucile. Un uomo morto. Ma lo scenario forse è cambiato.

IL PLUSVALORE

—  

Il plusvalore dei nostri “operai” si chiama Mancini. Verratti di anni ne ha 28, Jorginho 29, e l’ex giovane Barella 24. Se aggiungiamo il trequartista di fatto Insigne, 30, l’età media aumenta. Non li ha scoperti Mancini, erano in giro da tempo, li ha reinventati. Tre anni fa, unico a crederci, il c.t. è riuscito a moltiplicare la potenza dei due play che nel calcio di oggi avrebbero potuto (dovuto?) essere spazzati via da centraloni muscolari. Oggi Verratti e Jorginho sono la coppia (di centrocampo) più bella e sorprendente del mondo. La più imprendibile. Si dividono compiti di regia e interdizione, il loro avanzare palleggiato è uno spettacolo al quale nessuna mediana ha trovato contromisure. Barella è l’incursore assatanato che li completa, il Kanté dell’Italia, il Tardelli della generazione-X. E quando qualcuno di loro è in pericolo, dalla cabina telefonica decollano Locatelli e Pessina travestiti da Superman, come contro l’Austria. I titolari di Luis Enrique a centrocampo sono tre, quelli di Mancini cinque. No, sei: c’è anche Insigne.

L’OUTSIDER

—  

Nel calcio di oggi, Insigne fa l’ala sinistra perché il classico 10 non ha cittadinanza. Nella Spagna idem: Pedri, che è 10 “dentro”, fa la mezzala come De Bruyne nel Belgio. Non che Sarri non avesse visto i colpi, non che Ancelotti non abbia tentato l’esperimento trequartista, troppo rigido, ma la chiave è stata la difesa a tre (in impostazione) di Mancini: con Spinazzola a occupare lo spazio dell’ala sinistra, Insigne è stato libero di accentrarsi, andare tra le linee, in orizzontale, per liberarsi al tiro o per lo scambio stretto. Abbiamo un centrocampo a quattro che si schiera spesso come il WM o “sistema”: due mediani arretrati (Jorginho-Verratti) e due sulla trequarti (Barella-Insigne). La superiorità, il recupero palla alto, il nostro velocissimo tiqui-taca nasce così.

I CONFRONTI/1

—  

In campo, poi, le lavagne tattiche si adattano, forse si capovolgono. L’unico confronto davvero prevedibile dovrebbe essere Koke-Verratti, con lo spagnolo incaricato di spezzare il ritmo dell’azzurro e le trame parallele con Jorginho. Solo che la statistiche del torneo raccontano una sceneggiatura diversa; per recuperi (7-4,5) e intercetti (1-0), Verratti fa tutto meglio. E non parliamo in fase creativa (dribbling, verticalizzazioni, occasioni create). Koke è un tipo nervosetto, può andare fuori giri.

I CONFRONTI/2

—  

Accanto dovrebbe svolgersi un altro confronto dai risvolti imprevedibili: Jorginho-Pedri. Il centrale che in silenzio si sta candidando al Pallone d’oro contro il ragazzino che incanta la Spagna e l’Europeo. Pochi a 18 anni avevano questa facilità di gioco, forse troppe responsabilità. Il raggio d’azione è ampio: nessuno ha percorso tanti chilometri come fa lui (61,5), allargandosi sull’esterno e danzando sulla palla come Dybala. Probabilmente lo farà spesso, stasera, per non sbattere sull’azzurro e pugnalare la nostra difesa con i filtranti per Olmo e Morata. Toccherà a Barella e Chiesa scalare per dare una mano a Jorginho.

L’ASSALTO

—  

Senza più Sergio Ramos. Piqué, Casillas, Xavi, Iniesta e gli altri mammasantissima, inutile nascondersi che il giocatore chiave della Spagna sia Busquets, l’alter ego di Jorginho, silenzioso e indispensabile. Nel Barcellona di Guardiola è diventato il centrale: pivote, terzo stopper in fase d’impostazione, bodyguard di Xavi e Iniesta che a lui devono tanto della loro grandezza. Di quel Barça sono rimasti lui, Messi e Piqué. Oggi, a 32 anni, compensa il minor ritmo con una saggezza tattica e un senso della posizione fuori dal comune. Ma in questa Spagna è tutto più complicato perché nessuno dei tre centrali che si alternano alla sue spalle (Laporte, Pau Torres, Garcia) è una sicurezza, non parliamo del portiere Simon, quindi deve sdoppiarsi. La chiave è l’aggressione veloce di Insigne e Barella ai suoi fianchi. La Spagna, con la sua propensione offensiva e il baricentro altissimo, oltre i 58 metri, s’è fatta trovare scoperta e ha sofferto.

LA CHIAVE

—  

Il centrocampo contro cui abbiamo sofferto di più è stato quello mobilissimo dell’Austria, con Grillitsch a fare il Busquets, Sabitzer trequartista creativo molto più fisico di Pedri e il mezzofondista Laimer in versione mastino alla Koke. Avevano ritmo, corsa, aggressività. Con il Belgio soltanto De Bruyne ha creato problemi. La Spagna preferisce addormentare il ritmo, intrattenersi nel possesso, attendere l’occasione per colpire con la sua tecnica superiore. Abbiamo messo sotto belgi, svizzeri e turchi, non a caso a protezione di una difesa a tre e piuttosto statici. Fin qui la nostra arma è stata la verticalizzazione veloce e sempre in superiorità. Su questo possiamo metterli sotto, costringerli a inseguire, negargli il loro terreno preferito. Su questo si gioca la finale e l’ascesa della nuova classe al potere del centrocampo.

Precedente Diretta Wimbledon 2021/ Streaming video tv, orario: i quarti femminili (tennis) Successivo Salernitana, ore decisive. È una scalata fra mille carte

Lascia un commento