Sette big match, zero vittorie: il “mal di grandi” della Juve di Allegri

Ma c’è un dato che consola i bianconeri: se con le migliori Max non ha mai vinto, da qui a fine stagione gli resta solo un’avversaria da zona Champions da sfidare

Primo, non prenderle. Quando negli scontri al vertice la Juve ha giocato meglio in termini di gioco e di estetica, ha finito per perdere contro il Napoli all’andata decimata dalle assenze e con l’Atalanta allo Stadium quando mancò solo il gol, o al massimo per pareggiare come all’andata a San Siro. E stavolta a Bergamo fino al 91’37” stava perdendo, e sarebbe stato un risultato che avrebbe avuto molto poco di giusto per inquadrare una prestazione in cui si è certo rischiato di prenderle, ma si è anche prodotto molto, come forse l’appassionato juventino non era abituato a vedere quest’anno. Poi tiri le somme e il dato è severo: in sette scontri diretti contro le rivali per la zona Champions, la Juventus quest’anno non ha mai vinto.

I PUNTI CON LE TOP

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Per gran parte della stagione Allegri ha parlato dei punti persi con le piccole come quelli che hanno determinato in classifica della Juventus, ma dopo sei mesi di stagione è questo dato sui big match a dire da dove viene in buona parte quel divario di 9 punti dal Milan, 8 dall’Inter che ha una partita in meno, 7 dal Napoli, e anche il fatto che la zona Champions in questo momento sia solo virtuale, perché l’Atalanta è a -2 ma anch’ella con una partita in meno. Il dettaglio prima della serata del Gewiss Stadium: sconfitta a Napoli e in casa con l’Atalanta, pari all’andata col Milan, a casa dell’Inter (anche quello last minute) e al ritorno col Napoli e il Milan.

GLI ULTIMI BIG MATCH

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Non ci vuole una memoria da elefante per ricordare che gli ultimi due scontri diretti erano quelli che, pur senza perdere, avevano lasciato di più l’amaro in bocca: il pari contro il Napoli al rientro dalla sosta natalizia per l’occasione persa contro una squadra piena di assenze e non nel suo miglior momento, e quello a San Siro contro il Milan praticamente senza giocare e scendendo in campo per non perdere, ma a onor del vero è la storia del campionato a dire quanto sia stato importante non uscire sconfitti quel giorno per lasciare accesa una fiammella che poi si è incendiata pochi giorni dopo con i colpi di mercato Vlahovic e Zakaria.

LA DIFFERENZA CON LA DEA

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La differenza di Bergamo è tutta qui: stesso profitto (pareggio) e stessi punti in classifica (uno) di tre settimane fa a casa del Milan, a determinare un punteggio diverso (1-1 invece di 0-0) sono state due palle inattive, ma una prova dall’impatto totalmente opposto. Da fotografare più a una prova visiva che coi numeri, ma in parte rende l’idea il dato dei tiri: sei di cui zero in porta con il Milan, quattordici di cui sei nello specchio con l’Atalanta. A Bergamo dopo meno di venti minuti aveva avuto già almeno quattro palle gol, più o meno vicine da essere sfruttate. Dire che si è tornati a qualche settimana fa, quando si diceva che la Juve non segnava per quanto produceva, sarebbe prematuro: con in squadra uno come Vlahovic pensare che possa diventare patologico, produrre meno di quanto prodotto, è difficile da credere.

NE RESTA SOLTANTO UNA

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L’ultimo spunto lo dà il calendario, perché il dato sugli scontri diretti dà anche un argomento valido perché il bicchiere sia mezzo pieno: da qui alla fine della stagione, nelle ultime tredici partite, ne resta solo una contro una delle squadre in lotta per la zona Champions, il 3 aprile contro l’Inter. Per il resto, solo impegni contro squadre che sono più indietro in classifica. Quelli contro cui la Juve ha ritrovato la propria strada da novembre in poi, perdendo solo una partita delle ultime 14 (con l’Atalanta). E, per differenza coi 5 punti in 7 partite contro le squadre in lotta Champions (0,71 punti di media), sono gli stessi impegni in cui la Juve ha fatto 40 punti in 18 partite (2,22 a partita), che sarebbe una marcia da corsa scudetto. Adesso c’è da portarla avanti, fino alla fine.

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