Serie A, panchine ad effetto Mourinho

La storia del calcio la scrivono i calciatori – e talvolta gli arbitri, purtroppo – ma la firmano gli allenatori. Per questo si parla, e sempre si parlerà, dell’Inter di Herrera e di quelle di Trapattoni, Mancini, Mou e Conte, del Bologna di Bernardini, del Toro di Radice, della Juve di Trap e di quelle di Lippi, Conte e Allegri, del Verona di Bagnoli, della Lazio di Maestrelli e di quella di Eriksson, della Roma di Liedholm e di quella di Capello, del Milan di Sacchi e di quelli di Capello e Ancelotti. Sono rari i casi in cui il campione sovrasta il tecnico. Ne cito un paio: il Cagliari di Riva, i due Napoli di Maradona.

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L’importanza dell’allenatore in una squadra

Il pilota è importante quanto la macchina. A volte di più. Se al posto di Conte ci fosse stato un altro, ad esempio, l’Inter non avrebbe vinto lo scudetto (è una convinzione non solo mia). E se sempre Conte avesse allenato questa Juve – non me ne voglia Pirlo, al debutto nella stagione più complicata -, oggi staremmo probabilmente celebrando il decimo di fila. Proprio ieri Ancelotti ha spiegato con semplicità e una chiarezza definitiva i motivi che rendono la Premier superiore a tutti gli altri campionati europei: «La differenza la fa la qualità, in Inghilterra ci sono i migliori giocatori e i migliori allenatori». Amen. Non potendo permetterci – per ragioni fin troppo evidenti ormai – De Bruyne e Van Dijk, Havertz e Pulisic, Mané e Salah, Kanté e Kane, Ruben Dias e Richarlison, abbiamo perciò il dovere di non lasciar scappare i valori più alti e ancora accessibili della “panchineria” italiana, soprattutto ora che Mourinho ha deciso di misurarsi di nuovo con il nostro campionato. Il quadro, al momento, è questo. Parto proprio da Conte: conoscendone i princìpi-guida, temo che possa non accettare di dirigere un’Inter in edizione “super economy run” (Zhang è stato brusco quando ha parlato di tagli, rinunce e riduzione delle spese).

Allegri e Sarri all’estero?

E ancora: il rischio che dopo due anni di disoccupazione, poco sopportabile il secondo, Allegri, sei scudetti e due finali di Champions, possa andare all’estero è concreto. Anche Sarri, che sembrava destinato alla Roma, si sta guardando attorno alla ricerca di un progetto che gli consenta di tornare a fare la cosa che gli riesce meglio: allenare. E come lui Spalletti, considerato uno dei più preparati d’Europa sul piano tattico: se lo chiedete a Pozzo, che in trentacinque anni di Udinese di tecnici ne ha trattati un’infinità e che – per inciso – con Luciano non si lasciò benissimo per via di un accordo disatteso, vi risponderà che il più bravo è Spalletti. Un altro che, pur se sotto contratto, non disdegnerebbe l’esperienza all’estero, poiché alla ricerca di nuovi stimoli e traguardi più ambiziosi, è Mihajlovic, al quale il Bologna di Saputo deve tutto. 

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