Serie A, lo sgambetto di Edipo

Di primo acchito pensi: genio e regolatezza, Leão e Tonali, l’uno contro uno più forte della serie A e il regista più saggio ed eclettico tra gli italiani. Ventidue anni a testa per rimontare il Verona e ipotecare lo scudetto. Ma siamo proprio certi che la vittoria sia tutta merito loro? E che dire di Kalulu e Tomori, che hanno annullato il Cholito, alzando nel secondo tempo un muro sulla porta di Maignan? Ventun anni il francese, tre in più l’inglese. Senonché, tolto Giroud, che ne ha 35, e Krunic, che ne ha 28, il Milan che Ibra guarda dalla panchina per 85 minuti ha ventiquattro anni appena appena. Addio chiocce, la rivoluzione generazionale è compiuta: se arriva il titolo, inizia un ciclo. E forse non ce n’è per nessuno.
Sulla strada in discesa di Pioli c’è un ultimo grande ostacolo: l’Atalanta che a La Spezia riprende fiato e voglia d’Europa. Fuori casa Gasperini ha fatto il doppio dei punti presi a Bergamo: 39 contro 20. Un pareggio imporrebbe al Milan di vincere l’ultima a Reggio Emilia contro il Sassuolo, sempre che l’Inter faccia l’en plein a Cagliari e a San Siro contro la Samp. Un pronostico sarebbe poco più che una dichiarazione di fede.
L’unica costante in questo finale incerto è lo sgambetto di Edipo, che pare tanto una coazione a ripetere. Perché il rigore inesistente che punisce Mihajlovic è, prima ancora che un clamoroso errore, un paradosso freudiano. Che dimostra quanto la sequela di decisioni arbitrali che hanno influenzato il campionato abbia una spiegazione non tanto nell’incompetenza, quanto in un singolare conflitto psichico.
Per comprenderlo bisogna tornare al 73’ della sfida lagunare, quando Medel e Aramu si confrontano in area di rigore e il signor Marinelli indica il dischetto. Non si può pensare che l’arbitro, richiamato dal Var a riconsiderare la sua decisione, non abbia visto ciò che ciascuno di voi può vedere, cercando su YouTube le immagini: e cioè che il difensore cileno sposta il pallone all’avversario e ritrae la gamba, che Aramu cerca il contatto con il suo sinistro, ma soprattutto che dopo il contatto lo stesso centrocampista del Venezia compie un passo, appoggiando il piede sinistro a terra, e solo successivamente si lascia cadere volontariamente. Perché Livio Marinelli rinuncia a cambiare idea di fronte a una così plateale simulazione? Si può immaginare che non sia sereno, o meglio che sia preoccupato di difendere la sua scelta iniziale più che di accertare la verità. Lo si ricava dal labiale che pronuncia, in collegamento con il Var, mentre rivede le immagini. Sembra voler ribadire che il contatto, che l’ha indotto al penalty, sia provato dalla moviola, e tanto basta. Ed è qui che Edipo ci mette del suo: perché dimostra che l’arbitro sta soffrendo la competizione del Var. Il confronto con un’autorità terza, che può smascherare il suo errore, evoca un conflitto di identità che non è, propriamente, l’habitat ideale per la verità.
È ipotizzabile che Livio Marinelli sia irritato con il Var, perché, trattandosi di un contatto, la valutazione dell’intensità compete a lui. E quindi che senta il richiamo come un’indebita intromissione nella sua autonomia. Senonché il calcio è un gioco complesso: il Var lo richiama perché il contatto tra i due piedi è irrilevante, tant’è vero che Aramu prima di cadere compie ancora un passo.
Resta il fatto che il collega di Genoa-Juventus, Simone Sozza, dopo aver rivisto le immagini del contatto tra Guðmundsson e Aké, revoca il rigore che ha indebitamente concesso alla Juve e si batte il petto con la mano dicendo al capitano rossoblù Criscito: «È colpa mia». Sozza, impiegato di Seregno, è uno dei più promettenti talenti dell’arbitraggio. Marinelli, maresciallo dell’esercito di Tivoli, è un rincalzo di discreta affidabilità, di recente approdato in serie A. Ma al netto delle diverse competenze e qualità, l’ennesimo errore arbitrale è figlio del dualismo competitivo tra Var e direttore di gioco in campo. Che non funziona e che sta danneggiando la credibilità del sistema calcio molto più di quanto gli stessi arbitri possano immaginare.
È urgente che la Figc chieda al board internazionale una modifica regolamentare per restituire all’arbitro in campo la gestione esclusiva dell’occhio elettronico, introducendo a correzione il challenge, cioé la chiamata del Var da parte degli allenatori in un numero limitato di casi per tempo. È facile comprendere che l’intervento di questi ultimi non delegittimi, né metta in discussione, l’autorità dell’arbitro, perché viene da soggetti, i tecnici, sottoposti alla sua potestà autoritativa. Insomma, con il challenge gli arbitri lascerebbero Edipo a casa. Oggi invece li accompagna per il campo come un’ombra invisibile. Meditate, gente.
Per intanto il consiglio che umilmente diamo a Livio Marinelli è di provare a ripetere davanti allo specchio «ho sbagliato» con il sorriso sulle labbra. Lo stesso suggerimento può valere per Maurizio Arrivabene e Pavel Nedved, ripresi venerdì dalla telecamera a scambiarsi un interrogativo complice dopo l’ultimo capolavoro di Dybala a Genova. Il suo destro millimetrico disegna sui loro volti una stessa emozione controversa, e dimostra che chi ha dismesso la classe dell’argentino, come si fa con un abito vecchio dal proprio guardaroba, è ancora in tempo per cambiare idea. Meditate, manager.

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