Serginho: “Il mio Milan con Dida e Kakà. Oggi Ibra ha cambiato la storia, Theo top”

L’atletica, Dida e Kakà, la Champions

(Photo by New Press/Getty Images)

L’atletica come trampolino di lancio, il calcio come destinazione. Sergio Claudio dos Santos, per tutti Serginho, ha cominciato a correre col pallone tra i piedi prima in Brasile, sfidando Dida e Kakà, e poi al Milan, dove col tempo ha ritrovato entrambi. Lacrime di gioia a Manchester, di dolore ad Istanbul, e ancora di gioia ad Atene: il Milan di Serginho è stato vittorie irripetibili e sconfitte che bruciano ancora, come solo la vita sa regalare. Dopo anni di sgroppate sulla corsia di sinistra, quando il pallone ha smesso di rotolare, Serginho ha cercato il suo nuovo posto nel calcio: lo ha trovato al fianco di Alessandro Lucci, un amico e un fratello prima che un agente e un collega per Serginho. Entrambi pensano che le vittorie nella vita arrivino solo dopo un buon lavoro: la stessa filosofia che muoveva quell’indimenticabile Milan.

Serginho, lei oggi si occupa di calciomercato e lavora insieme all’agente Alessandro Lucci: come è nato il vostro rapporto professionale?
È iniziato tutto nel 2000-01 quando Alessandro lavorava a Roma. Da quel momento è cominciato un rapporto di amicizia tra le nostre famiglie. Lui era sempre a Milano, io andavo a Roma quando ero libero. Un giorno gli ho chiesto se era disponibile per lavorare insieme: avevo un procuratore in Brasile e allora la distanza dava qualche problema. Sapevo che Alessandro aveva le caratteristiche giuste per diventare uno dei procuratori più importanti al mondo. È una persona molto chiara e trasparente e ha dimostrato tutto il suo valore. Più che un amico per me è diventato un fratello, una persona di famiglia.

Alessandro la considera un punto riferimento per l’area brasiliana? Com’è fare mercato?
Quando ho smesso di giocare col Milan ho iniziato a fare scouting: ero responsabile del settore del Sudamerica. Abbiamo creato rapporti di lavoro con club e giocatori e oggi ho portato tutta la mia esperienza col Milan al servizio della World Soccer Agency. Fare mercato è divertente quando inizi a fare qualcosa di buono, come succede sempre nella vita. Considero quest’esperienza molto positiva. È completamente diverso rispetto a stare in campo. Sono stato anche in panchina con Leonardo all’Antalyaspor, ho ricoperto il ruolo di secondo allenatore, ma fare mercato mi dà più piacere.

Com’è andata all’Antalyaspor con Leonardo?
Il progetto è durato poco perché c’è stato un problema amministrativo. L’esperienza è stata piacevole: non andavo in campo da tanto tempo e prima non avevo mai allenato. Poi ho lavorato con Leonardo, un grandissimo amico. Però gestire 25 teste è una cosa molto difficile. Un calciatore pensa solo a giocare, l’allenatore invece deve pensare a tutto: a programmare le sedute, a spiegare le proprie idee nel modo più chiaro possibile. Un allenatore deve essere uno psicologo, un padre e un amico per i suoi giocatori.

Prima di giocare a calcio lei faceva atletica: come ha scoperto la passione per il pallone?
Mi è sempre piaciuto fare sport. Ai tempi della scuola partecipavo al torneo studentesco di calcio, pallavolo, beach volley e atletica. Gareggiavano più di 20 scuole di Rio de Janeiro. Io facevo calcio, pallavolo e soprattutto atletica. Un giorno mi stavo allenando per le corse, un calciatore era assente così alla fine dell’allenamento mi hanno chiesto se volevo giocare con loro e ho accettato. Mi sono allenato con la squadra di calcio, sono andato molto bene e il tecnico mi ha chiesto se volevo unirmi a loro per fare il torneo. Ero impegnato con l’atletica però l’idea di giocare a pallone mi piaceva. Dopo un mese ho cominciato a praticare entrambi gli sport e alla fine sono diventato titolare anche della squadra di calcio.

Lei ha giocato con Dida e Kakà in Brasile: quanto è stato bello ritrovare entrambi al Milan?
Dida e Kakà sono due fratelli che mi ha dato il mondo del calcio. Abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto. Oggi vedo poco Kakà perché ha la sua vita a San Paolo, io sono spesso a Milano. Con Dida ci incontriamo con più frequenza. Abbiamo vissuto tante cose belle insieme, abbiamo condiviso vittorie e sconfitte. Andavamo fuori a cena a Milano e viaggiavamo tanto. C’è ancora una stupenda amicizia. Anche se non ci vediamo per un po’, ci basta un minuto per ritrovarci e ci sembra di non esserci persi mai.

Dida è tornato al Milan e allena i portieri: come lo vede in questo ruolo?
Io e Dida abbiamo frequentato insieme il corso dell’Uefa. Nelson desiderava trovare il suo nuovo posto nel calcio dopo il ritiro. Tramite Angelo Carbone è entrato nel settore giovanile del Milan. Giorno dopo giorno Nelson ci ha preso gusto ad allenare e dopo un anno e mezzo si è guadagnato la possibilità di lavorare con Gigio Donnarumma, uno dei portieri più forti al mondo. Dida è molto felice di far parte del nuovo gruppo del Milan.

Dida ha già insegnato qualcosa a Donnarumma?
Per tanti anni Nelson è stato uno dei tre portieri più forti al mondo. Da calciatore è tra quelli che hanno vinto di più in assoluto: col Brasile ha conquistato il Mondiale e la Coppa America, col Milan la Champions e il Mondiale per Club. Nelson ha vinto i titoli più ambiti a livello sudamericano ed europeo. Un giocatore così, con la sua esperienza e la sua importanza, ha sempre qualcosa da insegnare.

Nel 1999 lei poteva andare alla Lazio anziché al Milan: perché non c’è stato il suo trasferimento a Roma?
Quando giocavo nel San Paolo la Lazio poteva acquistarmi e prima di andare al Milan saltò fuori anche la Juventus, ma il mio desiderio era di giocare coi rossoneri. Ho scelto il Milan perché lo seguivo fin da piccolo: guardavo le partite di Baresi, Maldini, Costacurta, Seba Rossi, Albertini, Donadoni. E quando avevo 14-15 anni guardavo il Milan degli olandesi. Sognavo di giocarci, ma non sapevo se avevo le qualità giuste per indossare la maglia rossonera. Alla fine però è andata bene.

Lei ha conquistato la Champions League col Milan contro la Juve a Manchester nel 2003: avesse scelto i bianconeri non avrebbe vinto…
Ho fatto la scelta giusta. La Juve è una grande squadra e in quel momento anche aveva dei grandissimi campioni. È stata una delle finali più belle della Champions League, una partita molto equilibrata, molto tattica e ben studiata da entrambe le parti: avrebbero potuto vincere entrambe. Per fortuna abbiamo portato a casa il torneo più importante per club e quello che un giocatore sogna di vincere nella sua vita.

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