Se l'azzurro parla di Roma e Sassuolo

Scamacca, Raspadori, Frattesi e Berardi, i quattro oggetti italiani del desiderio di molti club sono tutti della stessa squadra, la provinciale Sassuolo, e per due quarti sono cresciuti nello stesso vivaio, quello romanista di Alberto De Rossi. Vorrà dire qualcosa? La dimensione manifatturiera e artigianale del calcio, ancorché confinata in una nicchia geografica limitata, è tuttavia in grado di sviluppare valore. Cosicché il Sassuolo è, di questi tempi, il maggiore mercato di prodotti del calcio nazionale. Ed è anche il maggior fornitore di talenti per la Nazionale di Mancini. Si è realizzato un ribaltamento nel rapporto tra la forza dei club e l’Italia. Una volta erano le big i maggiori serbatoi per il ct, oggi Milan, Inter e Juve e Napoli mettono sul piatto insieme quanto Roma e Sassuolo, che sono i maggiori contribuenti alla causa azzurra.  

Si tratta di un progresso o di un handicap? È immaginabile una Nazionale costruita sui giocatori di squadre non impegnate in Champions, e quindi mancanti di quella esperienza internazionale che, a certi livelli, può fare la differenza? Salutando il ritorno alla vittoria della Nazionale con l’Ungheria, abbiamo scritto che per parlare di un nuovo ciclo occorrerebbe che Mancini potesse disporre di una platea ampia di giovani talenti, come Raspadori e compagni, già rodati nelle grandi competizioni, tra i quali operare una selezione fondata sulla qualità. Un obiettivo che oggi appare irrealistico se, nel campionato che sta per aprirsi, il numero di maglie da titolare vestite da calciatori italiani continuerà a non superare le settanta-ottanta unità. Purtroppo non ci sono le condizioni industriali per sviluppare e produrre, in proprio, talento calcistico, e ci sono invece le condizioni fiscali di vantaggi per andarlo a reperire sul mercato straniero. 

Si aggiunga la sindrome dell’urgenza che da sempre affligge il calcio italiano. L’idea di puntare alla vittoria con un piano di medio-lungo respiro cede quasi sempre al bisogno di arrivare prima al traguardo per non perdere la panchina o per recuperare l’impegno finanziario affrontato spesso con una logica dell’azzardo, e non del progetto. Questa mentalità non porta lontano. C’è da chiedersi quale rafforzamento portino i trentacinquenni svincolati, che in altri campionati hanno fatto il loro tempo, e invece in Italia possono venire a svernare per un paio di stagioni. Per essere più concreti, lo scudetto del Milan si deve a Ibrahimovic e Giroud o piuttosto a Leão, Tonali, Kalulu e Tomori? Si dirà che in ogni squadra vincente c’è un equilibrio tra esperienza e talento. Ma è pur vero che negli ultimi anni molte big hanno privilegiato la prima, caricandosi sulle spalle attempati campioni ormai in disarmo. Sarebbe ora di consentire ai talenti di fare esperienza giocando presto e di più. E se quei talenti fossero in parte anche italiani, non sarebbe poi una cattiva idea. Sassuolo docet.

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