ROMA – Sarri ha beatificato Luis Alberto, aprendo il processo di canonizzazione: «Penso possa prendere in mano la squadra e diventare il giocatore straordinario che ha fatto fatica a diventare». Mau ha dato la Lazio in mano al Mago. Non più il Luis fantasioso e fantomatico, un Luis finalmente fantasista fantasmagorico, leader, anima del gioco e della squadra, voce dello spogliatoio, simbolo dopo tante storie agitate. Sarri è imbattibile nella propaganda, se proclama e incorona un giocatore puoi sentirti un semidio. Ma non puoi più essergli infedele. Mau ha parlato a più riprese del Mago nella notte del Maradona, ha capito come gestirlo, ha imparato a sopportare le sue insensatezze, gli ha dato i consigli per diventare una vera star del calcio: «Si sta confermando e per lui può essere una stagione decisiva, naturalmente di grande aiuto per noi». Dopo che si sono scornati e quasi separati, dopo che si sono capiti, per Sarri ci sono dieci giocatori più Luis Alberto. Non gioca più un calcio tutto suo, da quando è stato indottrinato gioca il calcio di Sarri, raffigurabile in una mappa di pressing, di corse e rincorse, di gioco e giocate, di costruzione, di triangoli, di tagli, di colpi. Ha tanti compiti e una mobilità unica, manca solo che porti l’acqua e il sacco dei palloni. Il miglior Luis di sempre è la perfetta inerpretazione del 10 moderno, rende reali le meraviglie tattiche di Mau (quando funzionano) e fa anche l’allenatore in campo. Spesso s’avvicina alla panchina per condividere con Sarri aspetti tattici o per sottolineare mancanze. Aiuta i compagni, è al fianco dei nuovi. Anche a Napoli s’è visto mentre guidava Kamada, ispirandone i movimenti. La partenza di Milinkovic l’ha liberato di pesi, di accostamenti, di rivalità e antagonismi. Oggi Luis si sente la Lazio addosso, s’è sentito pronto a caricarsela sulle spalle. Ha dato i meriti dei suoi colpi a Felipe e Kamada: «Il 50% del mio gol è di Felipe Anderson. Io dovevo solo toccare il pallone e mandarlo in porta. E che gol Kamada».
La celebrazione di Luis Alberto
La glorificazione dello spagnolo non è solo calcistica, è diventato un leader carismatico, adesso è lui a interpretare il rendimento freudiano della Lazio, le paranoie che la portano a dare tutto o niente: «Abbiamo dimostrato che siamo forti quando vogliamo». Volere è potere, è un vecchio slogan. Se la Lazio vuole, può. Ma non va bene così. E’ un limite da risolvere, perché non riuscirci una volta per tutte? Così come Luis non può più permettersi di mollare all’improvviso campo e spogliatoio come accaduto nelle ultime due estati, di rendersi insopportabile. Nelle ultime settimane ha cambiato modo di comunicare. Dopo il ko col Genoa s’è presentato lui sotto la Nord, ha parlato lui ai tifosi e s’è presentato anche davanti ai microfoni. Ha riparlato ieri, lanciando un attacco agli arbitri, prendendosi rischi: «Ne servono con personalità, non dico di più altrimenti mi squalificano».
Luis Alberto e il contratto
Luis e la Lazio, ricucito lo strappo di inizio agosto, si sono legati con un contratto a vita. E’ stato firmato senza dare nell’occhio nei giorni in cui c’è stata la ricomposizione del caso. E’ stato fatto per non lanciare segnali sbagliati nello spogliatoio e non scatenare l’assalto di chi aspetta il rinnovo da tempo e ha avuto promesse in caso di qualificazione in Champions. A breve ci sarà di nuovo la fila a Formello. Luis guadagna poco meno di Immobile, ha un contratto da 4 milioni più bonus. Ha firmato fino al 2027, è prevista un’opzione fino al 2028. «Luce Alberto», così l’ha soprannominato la Lazio sui social ufficiali. Formula magica.

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