Sandro Tonali raccontato dal suo primo allenatore: “Era già un fenomeno. Due tocchi e zero esultanze”

La storia di Sandro Tonali è quella di un predestinato. Le parole del suo primo allenatore: “Giocava a due tocchi e non esultava mai”.

Sandro Tonali ha solamente 20 anni ma si è già guadagnato un posto nella rosa del Milan ed in Nazionale. 

Il baby fenomeno del calcio italiano è raccontato da Davide Gatti, presidente del Lombardia Uno e primo allenatore di Tonali nei Pulcini. 

Gatti è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport. Partiamo dalle parole con le quali salutò Tonali al termine dell’ esperienza del neo calciatore del Milan con il Lombardia Uno. 

“Carissimo Sandro o meglio il Fenomeno , questa esperienza vissuta insieme è stata semplicemente eccezionale. Spero che un giorno alla tv citeranno un grande campione, Sandro Tonali”.

Poi, ecco le sue dichiarazioni alla Gazzetta dello Sport: 

“Perché Milan e Inter non lo notarono? A quell’età si guarda spesso la tecnica, la capacità di saltare l’avversario nell’uno contro uno. Sandro giocava a due tocchi in mezzo al campo, era già avanti, era moderno: ecco perché non si accorsero di lui.

I genitori lo portarono qui con il fratello Enrico perché Sandro era milanista e i nostri centri sportivi sono affiliati al Milan da quando siamo nati, nel ‘94 – racconta -.

Pur essendo solo un bambino, Sandro aveva già chiaro dove voleva arrivare.

So che può sembrare tutto troppo romanzato, ma era questo che ti colpiva di lui: aveva un atteggiamento professionale, si divertiva come gli altri ma con una consapevolezza quasi da adulto.

Perciò non mi sorprende che sia così maturo oggi, nonostante abbia ancora vent’anni: ha solo lavorato sulle qualità che ha sempre avuto.

Sapeva sempre dove mettersi per rubare palla agli avversari e mandare in porta i compagni. Era nettamente più bravo degli altri, ma non lo vedevi mai strafare.

Quando fu scartato ai provini del Milan ci rimase male, ma il destino gli ha regalato una bella rivincita. È al Milan dopo essere stato a un passo dall’Inter: ai tempi erano venuti anche i loro osservatori, ma non se ne fece nulla.

Festeggiava solo quando la partita si faceva in salita e segnare gli costava davvero fatica. Non era arroganza, lui il calcio lo viveva così.

Una volta, durante un torneo di Natale, scoppiò a piangere all’ultima partita: non perché avesse vinto o perso, ma perché voleva continuare a giocare. Lo mettemmo in squadra con i più grandi.

I suoi vengono a trovarci ogni anno, ora tocca a lui – sorride Gatti -. Tra poco non avrà più scuse” (fonte La Gazzetta dello Sport).

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