Sacchi: “Chiamai Frosio al Rimini. Intelligente, sapeva dare l’esempio”

L’ex allenatore ricorda Pierluigi Frosio: “Era a fine carriera, ma ci mise il cuore. E una volta si allenò con 39 di febbre”

Andrea Schianchi

21 febbraio – Milano

La voce rotta dall’emozione, proprio non se l’aspettava una notizia così. Le parole inciampano e quasi non vorrebbero essere dette, perché dirle significa che è tutto vero, che Pierluigi Frosio, il suo amico Pierluigi Frosio, non c’è più. Arrigo Sacchi tira un respiro profondo, sorseggia un bicchiere d’acqua e comincia: “Forza, raccontiamo chi è stato il grande Piero”.

Sacchi, quando vi siete conosciuti?

“Nell’estate del 1984. Io allenavo il Rimini, Serie C1, girone A. Avevo una squadra di ragazzi e mi serviva un uomo d’esperienza che fosse di esempio per tutto il gruppo. Piero lo conoscevo come giocatore dai tempi in cui era al Cesena, poi l’ho seguito nella splendida avventura al Perugia. E così mi sono deciso e gli ho fatto un’offerta. Lui aveva già trentasei anni, era ormai a fine carriera”.

Ricorda come andò il primo incontro?

“Fu a metà strada tra Rimini e Perugia, dove lui abitava. Parlammo un paio d’ore, mi fece una bellissima impressione. Era molto curioso, gli dissi dei miei metodi, del pressing, della zona, del fuorigioco. Si entusiasmò e accettò subito la proposta. Vedete, a quell’epoca non era facile trovare giocatori anziani che fossero disposti a fare da guida ai giovani. Di solito, i più vecchi andavano in un club per raccattare l’ultimo ingaggio e svernare. Piero no, Piero venne a Rimini e in quell’esperienza ci mise il cuore”.

In quel campionato il Rimini si piazzò al quarto posto e sfiorò la promozione.

“Ne successero di tutti i colori, ma ormai è acqua passata. Ricordo che giocammo la seconda partita a Sanremo e vincemmo 3-0. Un gol più bello dell’altro, e tutti nati da schemi provati in allenamento. Piero, a fine partita, venne da me e mi fece: ‘È bello lavorare così, si vedono i risultati sul campo’. Era un uomo curioso. La grande famiglia del calcio ha perso una bella persona: sensibile, modesta, generosa”.

Che giocatore era?

“Intelligente. Un libero intelligente. Il talento se l’era costruito durante la lunga carriera con l’impegno e con il lavoro. Noi a Rimini praticavamo la zona, che allora in Italia si vedeva poco. Lui si adattò benissimo. Certo, il fisico era un po’ usurato, dopo tante battaglie, ma per lui non era un problema. E in campo si vedeva”.

Un episodio che lo descrive più di ogni altro?

“Una cosa che non ho mai dimenticato. Giochiamo la domenica, ci salutiamo e ci diamo appuntamento al martedì per la ripresa degli allenamenti. Piero arriva tutto imbacuccato, sembrava che tremasse dal freddo. ‘Che cos’hai?’ gli faccio. ‘Trentanove di febbre, mister’. ‘E perché non sei rimasto a casa con la famiglia giù a Perugia?’. ‘Eh no – mi risponde – Io sono il più vecchio, devo dare l’esempio, devo stare vicino alla squadra’. Questo era Frosio, uno che non si tirava mai indietro di fronte alle proprie responsabilità. Ce ne fossero, nel calcio di oggi, di giocatori e di uomini così… L’ho seguito nella carriera di allenatore, lavorava soprattutto con i giovani. Un vero maestro. Beati quelli che hanno assistito alle lezioni di Piero”.

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