Roma, via dalla Borsa per investire con più libertà

Per la seconda volta, in due anni, la Roma tenta l’uscita dalla Borsa (il cosiddetto “delisting”) con una nuova Offerta Pubblica di Acquisto (Opa) che ha ricevuto ieri l’approvazione della Consob. Per il delisting occorre disporre del 95% delle azioni complessive in circolazione e il gruppo Friedkin ne controlla oggi quasi il 90%. L’ultima volta (novembre 2020) partiva dall’85% ma il gruppo di maggioranza ha rastrellato, da allora, altro flottante per avvicinarsi alla soglia necessaria.

Anche le risorse mobilitate per la nuova Opa sono più cospicue (fino a 27 milioni) per offrire 43 centesimi di euro per azione contro 11 offerti nella precedente. Peraltro, il delisting potrebbe finalizzarsi anche se la fatidica soglia non fosse raggiunta, ove gli organi di controllo del mercato azionario ritenessero (cosa assai probabile) che il titolo non rispetta più i requisiti minimi di flottante. Per i piccoli azionisti potrebbe essere l’ultima occasione per liquidare: con l’uscita dal mercato si ritroverebbero con titoli non più negoziati pubblicamente e quindi non liquidabili presso gli intermediari finanziari. Vi sarà senz’altro chi deciderà di tenerli, per ragioni meramente affettive, ma la via d’uscita dalla Borsa per la Roma pare, in ogni caso, irreversibile. 

Dovrebbe così concludersi, l’8 luglio prossimo, una storia non proprio coronata da successo: le azioni giallorosse furono collocate nel maggio 2000 (in piena era Sensi) a 5,50 euro ma avevano già perso il 78% del proprio valore, dopo appena un anno e mezzo, nonostante lo scudetto fosse arrivato frattanto sulle maglie giallorosse. Per volume di scambi, flottante e significatività dei prezzi, la presenza dell’AS Roma nel listino di Piazza Affari è ormai simbolica. Più in generale, pare decisamente tramontata l’era dei club quotati in borsa che sembrava destinata, vent’anni fa, a diventare la nuova frontiera finanziaria del calcio. In Italia restano Juventus e Lazio mentre all’estero solo Ajax, Borussia Dortmund, Porto, Lione, Manchester United, Besiktas e pochi altri club europei rimangono sui listini mentre non risultano progetti di quotazione in corso. 

Con l’uscita dalla Borsa, la Roma risparmierà un po’ di costi oggi necessari per adempimenti e obblighi richiesti dallo status di quotata e soprattutto acquisirà snellezza operativa nelle decisioni e capacità di finanziare il club con maggiore flessibilità e meno vincoli. 

Ma c’è una ragione fondamentale che rende oggi meno convincente la presenza in Borsa: molte società di calcio sono in perdita ed è quindi giusto che gli azionisti di controllo sostengano gli sforzi necessari al riequilibrio finanziario. Condividere coi piccoli azionisti gli ingenti aumenti di capitale che una società deve deliberare per coprire disavanzi di bilancio strutturali non è logico sul piano finanziario. La borsa serve a raccogliere capitali attorno a un progetto di cui si condividono rischi ma anche risultati. Una società quotata deve prospettare agli azionisti una remunerazione del rischio, soprattutto quando si tratta in larga parte di investitori individuali. Per giunta (in questo caso) tifosi attratti da un legame affettivo che attenua la percezione del rischio. 

La Roma non ha ancora completato il percorso di ripristino dell’equilibrio finanziario e la famiglia Friedkin non ha ancora finito di investire. Anzi, proprio in questi giorni si parla di un imminente aumento di capitale. Nonostante le iniezioni già profuse il patrimonio netto è negativo, sia a livello di gruppo che di società capogruppo. La legislazione d’urgenza emanata per sorreggere le aziende italiane durante l’emergenza Covid ha legittimato la discutibile pratica (di cui la Roma, come altri club, si è avvalsa) di rinviare al 2026 la copertura delle perdite, ma il bilancio in chiusura al 30 giugno sembra preannunciare una nuova perdita a tre cifre. In questo scenario, con l’azionista di controllo pronto a mettere nuovamente mano al portafoglio, pare un atto di equità sottrarre i piccoli azionisti rimasti nella compagine societaria a questo ulteriore sacrificio. 

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