Roma, Mourinho non sbaglia un colpo ma il Feyenoord lo preoccupa

« Io non penso a una finale. Io penso che ogni partita sia una finale». In una vecchia intervista di José Mourinho, risalente ai tempi del Porto, c’è tutto il pensiero dell’unico uomo capace di cucirsi addosso – e tatuarsi sul braccio – le tre coppe europee. Come direbbe l’amico Carlo Ancelotti, anzi come ha detto ieri l’amico Carlo Ancelotti, c’è gente che «non riesce in una vita» a fare grandi cose. Non come i grandi allenatori: Mourinho lo è diventato perché, fin da quando ha iniziato, non ha lasciato nulla al caso. Mai. Ecco perché ha raggiunto undici semifinali europee in carriera. Domani inizierà l’assalto alla dodicesima: l’ostacolo è quel Feyenoord che, a Tirana un anno fa, la Roma ha battuto in finale di Conference. Ma Mourinho sa che undici mesi nel calcio sono una vita: gli olandesi sono cambiati, hanno voglia di rivalsa e, soprattutto, sui 180’ minuti possono essere più pericolosi. Ecco perché la dodicesima semifinale europea, per lui, è tutto tranne che scontata.

Venti anni dopo

Di certo è un traguardo possibile e ambito, soprattutto perché arriverebbe vent’anni dopo la prima volta: stagione 2002-2003, anno in cui avrebbe poi vinto la sua prima coppa Uefa. Ai quarti il Porto di Mou elimina il Panathinaikos, in semifinale liquidò la Lazio, in finale batte il Celtic. Nelle altre dieci occasioni Mourinho allenava sempre il Porto, il Chelsea (tre volte), l’Inter (una volta), il Real Madrid (tre volte), lo United (una) e la Roma, una. In queste undici semifinali ha passato il turno cinque volte vincendo altrettante coppe. Riassumendo: se Mou va in finale vince. Troppo presto, però, per pensarci ora. E l’allenatore portoghese è il primo a saperlo bene. 

Profilo basso

Così come è il primo a sapere bene che il sorteggio è stato tutto tranne che benevolo: testa bassa e massimo rispetto per il Feyenoord. Profilo ai minimi termini, concentrazione alle stelle anche se, in passato, a Mourinho non dispiaceva tirare fuori il palmarès: «Lasciatemi mandare un messaggio ai miei ammiratori e fatemi dire che ho disputato la Champions League in 14 edizioni. E le due volte in cui non ho partecipato alla Champions League, ho vinto l’Europa League». Era il 2018 e, nel frattempo, ha portato a casa un’altra coppa, speciale perché non era mai stata vinta e arrivava dopo la delusione con il Tottenham, l’unico club che ha lasciato a mani vuote. 

Nuova sfida

La vittoria con la Roma gli ha anche consentito di mettere via un altro orologio perché, dopo ogni trofeo vinto, Mou toglie quello che indossava il giorno della vittoria. Lo ripone in un cassetto e ne indossa un altro. Ferma il tempo nel momento della gloria e poi riparte. C’è sempre un’altra stagione, per lui, un’altra sfida. Quella attuale lo porta in Olanda ed è difficile. La dodicesima semifinale lo aspetta ma, esattamente come venti anni fa, non la dà per scontata. E questo trasmette ai suoi giocatori.

Rinnovo Smalling, ore decisive

Guarda il video

Rinnovo Smalling, ore decisive

Acquista ora il tuo biglietto! Vivi la partita direttamente allo stadio.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Precedente Wijnaldum, l'ex tifoso è l'arma anti-Feyenoord Successivo Immobile, il piano di Sarri: staffette con Pedro