Roma, Fonseca: “Non è facile per i giocatori accettare le mie verità”

Sull’essere allenatore e sulla sua ispirazione
“Io ho avuto Jean-Paul, una persona con cui ho parlato molto e che ha fatto crescere la mia passione per l’allenamento. Da quando ho iniziato ad oggi, il mio riferimento principale è Guardiola. Sono anche cresciuto con Mourinho, che ha cambiato il modo di allenare, ha cambiato la leadership nel calcio. A Roma dobbiamo giocare sempre per vincere. Dobbiamo avere sempre questa ambizione. La leadership per me è una cosa molto importante. Io sono sempre molto diretto con i miei giocatori. A volte per il giocatore non è facile accettare la mia verità. Ma penso che sia meglio accettare la chiarezza. Per essere allenatore bisogna avere passione. Svegliarsi e voler sempre andare agli allenamenti e migliorare. Un allenatore non deve mai perdere questa passione”.

Sulle regole nello spogliatoio
“Le regole sono uguali per tutti. Ci sono ovviamente diverse personalità e diversi modi di agire. Ad esempio, io so che se urlo con Mancini è il miglior modo per spronarlo. Ma con Spinazzola devo fare diversamente. Poi ho giocatori a cui non ho bisogno di dire nulla. Il feedback positivo per loro è quando li faccio giocare, quando dimostro di avere fiducia in loro”.

Sul sentire la pressione
“Il messaggio che voglio trasmettere è sempre quello di divertirsi. Credo che la squadra ora sia più equilibrata anche a livello di emozioni. Non sono una persona che pensa 24h al calcio. Qui a Roma all’inizio ero sempre preoccupato su quello che faceva la squadra. Ricordo che mia moglie una volta era andata in Ucraina, io sono rimasto qui 15 gg chiuso a studiare tutto per trovare una soluzione. Ora a volte quando sono a casa penso “no, non voglio vedere una partita, voglio vedere un film”.

Sull’ossessione per il possesso palla
“A me piace che la squadra abbia sempre iniziativa, che abbia la palla. Quando sono arrivato qui in Italia ero ossessionato dal possesso palla. Adesso per noi sono molto più importanti i momenti di transizione. Per me è il miglior modo di difendere. Mi piace la sensazione di avere il controllo, di creare stress nell’altra squadra per il fatto di non avere la palla. Ma qui in Italia non è facile come in altri campionati. Le squadre si sentono a proprio agio anche senza palla. L’Inter, ad esempio, è una squadra che non ha problemi ad abbassare le linee. Sono molto forti in questo. Io non posso dire lo stesso della mia squadra. La mia squadra quando non ha la palla non è a suo agio”.

Sull’ultima fase di gioco e sugli ultimi 25 metri
“Deve esserci un equilibrio tra il cercare spazio profondo e spazio in appoggio. E anche per noi è difficile. Anche perché io non codifico. Sono i giocatori che devono capire dov’è lo spazio. Abbiamo imparato come arrivare all’ultimo metro, al momento di finalizzare l’azione. Entrare nella seconda linea è molto importante per cercare spazio in una linea che ha 5 giocatori. Jordan Veretout ad esempio capisce molto bene quando deve entrare”.

Sulla scelta di un giocatore e su Under
“Non hanno mai scelto un giocatore senza la mia opinione. Io cerco il giocatore funzionale alla squadra. Per me è molto importante chiarire una cosa. Non ho mai detto che Under non è un gran giocatore. È un grandissimo giocatore. Ma per la mia idea di squadra è difficile. Sicuramente, per una squadra che ha un modo diverso di giocare, sarà perfetto”.

Questa invece l’intervista di Fonseca a Forbes Italia. 

Portogallo, Ucraina e ora Italia. Lei ha gestito, tra le diverse squadre che ha allenato, anche tre importanti club come Porto, Shakhtar Donetsk e ora Roma. Come è cambiato, se è cambiato, il suo lavoro in queste differenti realtà?
“Ovviamente le cose cambiano. Cambia il contesto competitivo, cambia il nostro modo di adattarci, anche per questioni culturali, anche se Portogallo e Italia, essendo Paesi latini, hanno un modo di vivere, di sentire e di amare il calcio molto simile. L’Ucraina è un Paese diverso, con una mentalità diversa, ma alla quale mi sono adattato molto bene. Noi allenatori dobbiamo capire rapidamente che lavorando in Paesi diversi, si lavora anche con modi diversi di vedere la nostra professione, di viverla, di criticarla o anche di valorizzarla”.

Prima calciatore, poi allenatore… come è cambiata la sua vita con questo passaggio? Quale dei due ruoli le piace di più e perché?
“La responsabilità del ruolo di allenatore è totalmente diversa da quella di un giocatore. Prima mi allenavo e non mi preoccupavo di altro, ora no. Passiamo molte ore a pensare, a realizzare, a progettare, ma devo dire che mi piace molto di più fare l’allenatore, piuttosto che fare il calciatore. È un piacere e una soddisfazione incomparabile con quella di quando ero giocatore”.

Quali devono essere secondo lei le doti di un buon manager? La leadership è una dote innata o si può costruire?
“Per me, per essere un buon manager è fondamentale essere vero, onesto, entusiasta oltre a essere un grande motivatore. Per dirigere un gruppo di lavoro serve anche una grande capacità di adattamento. Perché la nostra leadership deve essere adattata secondo le caratteristiche delle persone che guidiamo, gli obiettivi del team e gli obiettivi da raggiungere. Per un allenatore è importante avere delle caratteristiche di un leader forte, ma la leadership si può anche lavorare”.

Nel corso della sua attività avrà sicuramente vissuto situazioni complicate a livello manageriale. Quali sono state e come le ha affrontate?
“Il conflitto è sempre difficile, le questioni disciplinari sono sempre complicate. Altra questione è quando le persone che guidi non sono tutte nella stessa direzione. Su questi problemi bisogna essere rapidi e intervenire con forza, non possiamo chiudere gli occhi di fronte ai problemi. Poi, quando non sono tutti in linea con il resto del team ci sono diversi modi di agire e dipende molto dalla personalità della persona stessa, dal peso che la persona ha nel gruppo di lavoro. Ci sono diversi modi di agire a seconda delle caratteristiche delle persone”.

Quando ha iniziato la sua carriera da allenatore quali obiettivi si è posto?
“Quando si inizia – e io ho iniziato dalla gavetta – l’obiettivo principale è quello di raggiungere le squadre migliori del tuo Paese, nel mio caso del Portogallo, e in seguito raggiungere le migliori squadre in Europa. Posso dire che ora ho già raggiunto una delle migliori squadre d’Europa, ma voglio vincere dei titoli: voglio vincere dei campionati in Europa, voglio vincere dei titoli europei. Nonostante questa ambizione, il mio obiettivo principale è quello di non perdere mai la passione per questa professione, svegliarmi ogni giorno motivato e continuare a essere lo stesso allenatore entusiasta e appassionato”.

Qual è la dote umana e manageriale di cui va più orgoglioso? Cosa cambierebbe invece del suo carattere?
“Posso dire che mi sento molto bene con me stesso perché provo a essere sempre giusto ed equilibrato. Credo che la questione dell’equilibrio sia fondamentale per avere successo. Cosa cambierei? Penso che siamo tutti diversi, anch’io ho i miei pregi e difetti. E che tutti noi, nella vita, dovremmo cercare sempre di migliorare, ma se cambiamo qualcosa nel nostro carattere, dobbiamo stare attenti: se smettiamo di essere noi stessi, rischiamo di perdere la nostra identità”.

Quando non allena cosa le piace fare?
“In alcuni momenti mi piace staccare e amo, soprattutto, passare il tempo libero con mia moglie, i miei figli, passeggiare con loro in riva al mare, andare in un buon ristorante e camminare nel centro di Roma. E devo confessare che sono anch’io un amante di Netflix, soprattutto quando sono in viaggio e in trasferta”.

Forbes non parla principalmente di calcio ma si rivolge ai manager e agli imprenditori. Secondo lei un allenatore che insegnamenti può dare a chi ricopre un ruolo manageriale, anche se non calcistico?
“Un consiglio che posso dare a un leader, che sia nello sport o che sia in un’azienda, è che se vuoi guidare un gruppo, motivarlo e fare arrivare i messaggi alle persone, devi farlo con onestà. Penso che essere sempre veri sia fondamentale: solo così le persone ti rispetteranno di più. Un’altra caratteristica importante credo che sia il saper ascoltare. Ovviamente dovremo prendere sempre le nostre decisioni sulla base di ciò in cui crediamo, ma saper ascoltare gli altri è molto importante per la nostra crescita”.

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