Rocco Commisso e le cattive maniere

I giornalisti massacrano la Fiorentina… dicono cose indegne su dirigenti e allenatore… mortificano i calciatori… Tu stai zitta, adesso parlo io…“: il siparietto di Rocco Commisso in conferenza stampa a Firenze sembra la conferma del pregiudizio che in Italia si nutre su certi connazionali eccentrici, arricchitisi in America. Se qualcosa mancava alla nostra classe dirigente sportiva, non era certo l’arroganza primitiva messa in scena ieri dal magnate calabrese.

Commisso contro la stampa: "Avete scritto cose indegne"

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Commisso contro la stampa: “Avete scritto cose indegne”

Il calcio continua a essere un attrattore di cattiva educazione, improntitudine comunicativa e gratuito conflitto. Di cui la risposta ad armi pari del peggior giornalismo pare quasi un naturale contrappasso. Non si tratta qui di censurare una singola intemperanza. Ma di denunciare un clima di intrasparenza e idiosincrasia per i codici della buona comunicazione, che il calcio intero paga in termini di prestigio e credibilità.

Commisso all'attacco: "Mi avete chiamato terrone"

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Commisso all’attacco: “Mi avete chiamato terrone”

Sempre più spesso presidenti, allenatori e calciatori parlano solo sulle emittenti societarie con interviste preconfezionate, fatte di inutili luoghi comuni e di una retorica meramente celebrativa e commerciale. Nelle rare occasioni in cui si concedono in pubblico, rifiutano domande scomode, talvolta concordandole con i giornalisti ammessi al confronto. Per dirla con parole semplici, se le cantano e se la suonano da soli, o con la complicità di fidati cantori. E, più di tutto, non tollerano le critiche da parte di un ambiente che con la loro stessa chiusura concorrono a rendere ostile.

Questo sistema ignora che il calcio non è un’impresa che fornisce a pagamento servizi privati a un consumatore. Ma un fenomeno sportivo, spettacolare e culturale, dotato di un’enorme valenza pubblicistica. È la più grande fabbrica di emozioni del pianeta, anche se trascura di considerare che le emozioni sono un prodotto dell’intelligenza umana, non dell’istintività biologica. Di più, una simile rozzezza delle regole d’ingaggio scopre una fragilità che fa più debole questo sport e le sue istituzioni. In trent’anni siamo passati dai presidenti che volevano acquistare «l’amalgama», credendo che fosse reperibile sul mercato, a quelli che arringano i giornalisti trattandoli come tollerati, o intrusi, in casa propria.

Non è così che si cresce nella considerazione pubblica e nel peso politico, che pure il calcio potrebbe rivendicare, in ragione della dimensione fi nanziaria della sua impresa, ma soprattutto in ragione della sua centralità esistenziale. La Federazione e la Lega devono farsi carico di una formazione che – non fa piacere dirlo -, in certi casi coincide con una rieducazione. Perché non si gioca solo nel rettangolo di gioco, ma anche davanti ai microfoni e nei salotti del tempo libero di una comunità. Se pure è difficile insegnare l’educazione a chi crede di poterla comprare, bisogna convincere i più riottosi, e talvolta blasonati, protagonisti che il profitto cresce anche con le buone maniere. Queste sono le uniche ragioni che sentono.

Commisso contro un giornalista: "Non ti vergogni?"

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Commisso contro un giornalista: “Non ti vergogni?”

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