Rio 2014, hacker russi: “Ecco prove del doping atleti Usa”. Washington: “Cordardi”

MOSCA – “Atleti degli Stati Uniti hanno usato doping alle Olimpiadi di Rio 2016“: lo afferma un gruppo di hacker russi che ha “bucato” il sito della Wada, l’agenzia mondiale antidoping. A darne notizia sono Giuliano Foschini e Marco Mensurati di Repubblica. E da Washington arriva la replica, per bocca della Usada (l’agenzia antidoping statunitense), che bolla l’azione degli hacker russi come “codarda e spregevole”.

“Dopo aver studiato analiticamente i database – scrivono, allegando migliaia di documenti con la dicitura “confidential” – abbiamo capito che decine di atleti erano risultati positivi alla vigilia e durante i giochi. I medagliati olimpici di Rio hanno usato regolarmente sostanze illecite giustificate da certificati di approvazione per uso terapeutico. In altre parole, hanno ricevuto la licenza per il doping”.

Fra i nomi degli atleti con “licenza di doping” ci sono le sorelle Williams, la campionessa di ginnastica Simon Biles, la star del basket Elena Delle Donne. Nei documenti della Wada dei quali gli hacker russi sono entrati in pos violando il server dell’agenzia mondiale antidoping, ci sono le prove dell’assunzione di sostanze proibite rese lecite dalla “esenzione per uso terapeutico”:

Uno dei casi più eclatanti portati alla luce è quello di Simone Biles, quattro medaglie d’oro nella ginnastica, che – secondo i documenti – avrebbe assunto metilfenidato, uno psicostimolante, e anfetamine sotto ricetta medica. Più volte i controlli della Wada hanno rilevato la presenza di queste sostanze, anche durante la competizione, ma la positività non è mai stata comunicata perché l’atleta aveva un apposito Tue (therapy use exemption) autorizzato dalla federazione internazionale.

“Se l’autenticità delle carte fosse confermata – spiega a Repubblica una fonte autorevole – non ci sarebbe alcun illecito. Certo risulta comunque quantomeno singolare che una atleta di quel livello abbia gareggiato alle olimpiadi sotto gli effetti di una terapia che di solito si prescrive ai narcolettici”. […] Fonti di Repubblica confermano l’autenticità di una buona parte dei documenti.

Ma se gli hacker volevano svelare azioni non proprio ortodosse, seppure lecite, da parte degli atleti americani, da Washington è arrivato il contrattacco: l’Usada, l’agenzia antidoping statunitense, difende gli atleti olimpici americani spiegando che “non hanno fatto nulla di sbagliato e hanno sempre seguito le regole per ottenere il premesso ad usare medicine necessarie”, e definisce quindi “codardo e spregevole” che hacker russi abbiano rubato informazioni con l’intento di diffamare atleti e ingannare l’opinione pubblica.

Gli hacker russi sono gli stessi che già un mese fa avevano violato il sito della Wada e che ancora prima avevano rivelato le mail di Hillary Clinton. Una vendetta russa? C’è Putin dietro le azioni di questo gruppo di hacker?

Fatto sta che, quando è venuto fuori lo scandalo doping che avrebbe coinvolto così tanti atleti russi da far pensare a un sistema, molti dubbi sono sorti sul funzionamento dei controlli della Wada. E anche il caso Schwazer aveva portato alla luce indizi su un mondo-doping che non sarebbe solo limitato alla Russia ma che coinvolgerebbe tutto lo sport mondiale.

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