Ricordate Castroman? “Io, il derby e la Lazio. Oggi vendo… santini!”

La cena con Diego, la gara con Messi

Mate cosido e pane duro a cena, un padre tuttofare tra santini in tasca e mozzarelle da ripartire, poi un televisore acceso. Una finestra sul mondo e sulle partite del Napoli di Diego Armando Maradona. Negli Anni 80′ Lucas Castroman era un bambino di Lujan che pensava in grande perché intorno a sé aveva poco o niente. Il Mondiale vinto da Diego nel 1986 e il primo scudetto del Diez col Napoli hanno fatto sognare Lucas, che negli Anni ’90 è diventato Castroman, il centrocampista del Velez che nel 1997-98 ha conquistato il campionato in Argentina e una sera a tavola ha conosciuto Diego tornato a casa dopo le imprese in Italia. Se Castroman ha giocato in Serie A, prima alla Lazio e poi all’Udinese, lo deve a Maradona, l’idolo di un’intera generazione di ragazzi argentini che hanno cambiato la propria vita con un pallone tra i piedi.

Lucas, lei oggi ha cambiato vita: di che cosa si occupa?
Aiuto mio padre a vendere santini vicino alla Basilica di Lujan, poi faccio un po’ di tutto. Io e un mio amico abbiamo messo in piedi un parcheggio videosorvegliato e gli do una mano quando posso. Vado matto per il bricolage e per ristrutturare case. Ho fatto la scuola tecnico-industriale quindi so anche di elettricità e di gas. Posso fare qualsiasi cosa, sono un tuttofare. Piano piano sto cercando anche di rientrare nel mondo del calcio. Ho frequentato il primo anno del corso da direttore tecnico: me ne mancano ancora due, ma sto facendo questa cosa in tranquillità. Voglio prendermi il titolo, poi vediamo.

Che cosa l’ha spinta ad allontanarsi dal calcio?
Un po’ il mondo del calcio in generale: le cose brutte che ci sono dentro, che ho visto e che mi hanno fatto soffrire abbastanza. La mia famiglia mi ha insegnato a dire sempre la verità e ad essere sempre nel giusto. Purtroppo nel calcio a volte bisogna accettare delle cose che fino ad oggi non ho voluto accettare.

Lei proviene da una famiglia umile?
Sì, da una famiglia molto semplice. Siamo cinque fratelli, i primi tre hanno vissuto i momenti più brutti: io sono uno di loro. Un pezzo di pane duro da una settimana e il mate cosido, un’infusione d’erba mate, erano la nostra cena. Abbiamo sofferto. Papà lavorava tutto il giorno. Nella sua vita lui ha fatto di tutto. Vendeva santini alla basilica di Lujan, la più alta del Sudamerica e dedicata alla Madonna: oggi ha tre santerie dove ci sono le immagini della Vergine e dove è possibile acquistare ricordi della nostra città. Ha fatto anche il ripartitore di mozzarelle, poi il meccanico. Faceva tutto quello che poteva fare per noi.

Lei come si è avvicinato al calcio?
Papà è stato un bravissimo calciatore, purtroppo si è fatto infortunato al ginocchio a 17 anni: erano gli Anni ’70 e se ti facevi male in quel modo eri fuori. Mio padre non ha voluto fare l’intervento e ha smesso di giocare. Ho cominciato a fare il calciatore per una questione genetica. Poi era un mezzo per cambiare la mia vita, per dare da mangiare ai miei figli: è stata questa la cosa che mi ha tenuto più legato al calcio.

Aveva un mito da ragazzo?
Maradona! Ho vissuto la mia infanzia con Diego prima al Barcellona e poi al Napoli. Ricordo quando ha vinto la Coppa del Mondo con l’Argentina: avevo cinque anni. Qui tutti seguivamo il Napoli di Maradona e Careca: trasmettevano solo quella partita del campionato italiano. Chi ha cinquanta o quarant’anni come me ha vissuto tutto di Maradona. Ogni volta che prendevo il pallone ero Diego. Oggi succede la stessa cosa con Messi e Ronaldo: per le strade di tutto il mondo si sentono i loro nomi, un po’ meno purtroppo per via del Covid. Maradona ci ha fatto conoscere in tutto il mondo: prima di Diego in Europa non sapevano nemmeno dove fosse l’Argentina. Maradona ha fatto cose incredibili col pallone. È stato criticato da tanta gente, anche a me non sono piaciute alcune cose della sua vita, ma erano affari suoi.

Quando ha conosciuto Maradona?
Nel 1998 quando abbiamo vinto lo scudetto col Velez. Maradona andava a mangiare con tutte le squadre che conquistavano il campionato. Ho visto Diego per la prima volta in quella cena: avevo 17 anni ed ero di fronte al mio idolo. Poi l’ho rivisto quando sono rientrato in Argentina dopo l’esperienza all’Udinese. Diego mi ha invitato al suo programma, “La Noche del 10”, e abbiamo cantato. Ho giocato la partita del suo addio al calcio alla Bombonera: ho fatto gol, ci siamo abbracciati, è stato un momento bellissimo. Poi abbiamo cantato insieme: avevo una fondazione per i bambini poveri in Argentina, Diego ha fatto l’inno e ha eseguito un pezzo. Col pallone era un fenomeno, a cantare era bravino: era la sua seconda passione. 

Che rapporto c’era tra lei e Maradona?
Da parte mia non c’era solo l’ammirazione per l’uomo più forte della storia del calcio. Anche io ho vissuto momenti in cui non potevo uscire di casa oppure non riuscivo ad andare da qualche parte perché la gente mi riconosceva. Diego si è portato questa cosa sulle spalle per quarant’anni: non è stato facile essere Maradona. Io lo trattavo come una persona normale. Per tutti era Maradona, a me piaceva vederlo come Diego. Ho vissuto nel silenzio tante cose belle con lui.

(Photo by Grazia Neri/Getty Images)

Lei ha giocato nel Boca come Diego: il mito dei tifosi è Riquelme oppure Maradona?
È Maradona ed è così in tutto il mondo. Penso all’omaggio degli All Blacks per Diego. Non sono mai state fatte cose simili per nessun presidente dell’Argentina. L’addio a Diego è stato unico: lui col pallone ha realizzato i desideri di tutti noi. La sua vita è stata come il sogno americano: è nato in una favela, non aveva nulla, ha guadagnato tantissimi soldi ed è diventato famoso in tutto il mondo. Riquelme è stato un grandissimo idolo del Boca, ma non vorrebbe essere più di Diego: lo ha sempre rispettato, c’è stato un bellissimo rapporto tra di loro. Questo vale anche per Messi. Tutti dicevano che c’era rivalità tra lui e Diego, poi avete visto l’omaggio di Leo: ha segnato un gol bellissimo nella Liga, ha festeggiato indossando la maglietta di Maradona al Newell’s Old Boys. Questa cosa ha fatto venire i brividi.

Lei oggi dà una mano a suo padre nelle santerie: verrà fatto il santino di Maradona?
È una cosa che purtroppo prima o poi arriverà. Io non sono d’accordo. Sono una persona molto credente e molto cattolica e voglio tenere Diego custodito solo nei miei ricordi più profondi. Ci ha regalato gioie inimmaginabili e per me questo è abbastanza.

Maradona ha vinto un Mondiale con l’Argentina, Messi no: che cosa è mancato a Leo?
Messi ha ancora un Mondiale a disposizione: può vincere il prossimo. Il calcio è cambiato. Quando giocava Maradona le big erano Argentina e Brasile, Italia e Germania, poi c’era la Francia e basta. Oggi qualsiasi nazionale può arrivare in fondo: lo abbiamo visto all’ultimo Mondiale. Speriamo che Messi vinca il prossimo per lui, per noi, per tutti. Se non ce la dovesse fare comunque il suo valore non sarà messo in discussione. Io ho giocato sia con Diego che con Leo: è stato un privilegio aver visto Maradona e vedere Messi oggi, mio nonno ad esempio ha visto solo Diego. Ho giocato anche con Leo: lui aveva 16 anni, era una delle sue prime gare con l’Argentina. Poi ci siamo sfidati nella partita delle stelle che si fa qui ogni tanto. Per me Messi non sarà mai in discussione: ha vinto tantissime cose, Palloni d’Oro e coppe col Barcellona che a Diego mancano. Io non mi permetterò mai di paragonarli.

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