Ranieri esclusivo: “Lo scudetto con la Roma nel 2010? Darei la Premier in cambio”

INVIATO A PARMA – «Parlavo solo romano, poi grazie al calcio ho imparato lo spagnolo, il francese, l’inglese e il sardo. Volete che io non sia un uomo felice?». Venti giorni fa, a Reggio Emilia, Claudio Ranieri ha compiuto quello che molti considerano l’ultimo miracolo della sua luminosa carriera. Ieri a Parma, 31 km più a nord, è stato premiato dalla Lega come “allenatore leggenda” al Festival della Serie A, insieme ad Arrigo Sacchi e Fabio Capello. 

Ranieri, ma lei si sente davvero già un ex? 
«Ho dato l’addio nel modo più giusto, è stata un’uscita di scena fantastica: neppure nei sogni l’avrei immaginata così bella». 

E una leggenda? 
«Ma no, Sacchi e Capello lo sono. Gasperini penso che sia sulla buona strada, poi ce ne sono tanti altri fenomenali. Io ho fatto del mio meglio».

Il Cagliari non ha ancora un altro allenatore.  
«Cambiano i presidenti, i calciatori, gli allenatori ma non i tifosi. In Serie A ci restano loro, e ai cagliaritani che tanto mi amano dico di sostenere il prossimo allenatore come hanno sostenuto me. Quello che mi resta addosso è proprio l’essermi sentito un corpo e un’anima con la gente. E tutto questo suonava benissimo».

A proposito di note liete, si dice che le grandi squadre siano come grandi orchestre. Ma dicono anche che lei, a Leicester, abbia scritto una delle pagine più belle della storia del calcio con una semplice banda… 
«Quando sono arrivato la squadra si era salvata nell’ultimo mese la stagione precedente. Io ho solo cambiato modulo, passando al 4-4-2, ho cambiato i terzini, ho messo Kanté che era un motorino inesauribile perché pressava, lottava, s’inseriva, difendeva e a un certo punto pensavo potesse sia fare un cross sia andare a colpire la palla di testa nella stessa azione… Cose semplici». 

Quindi anche lei è un teorico del calcio semplice? 
«Certo. Se non ho giocatori di difesa abili con i piedi, perché devo iniziare il gioco da dietro? Gioco in verticale. Prima ancora che Trapattoni se ne uscisse con “Strunz” feci una bella conferenza in Spagna in cui dicevo che ci volevano los cojones. Entiendes?».

Una partita che sogna la notte?  
«Leicester-Manchester City, 3-1 per noi. Poi tutte quelle con il Cagliari nell’ultima stagione».

Nel senso che le preparava nel sonno? 
«Nel senso che mi svegliavo alle 4 di mattina di soprassalto e studiavo. Salvare il Cagliari era il mio pensiero stupendo». 

La svolta è arrivata quando ha minacciato l’addio? 
«Avevo dei giocatori magnifici, non li ho mai rimproverati in allenamento perché andavano a tremila all’ora. Poi in partita si perdevano, forse pensando che bastasse la mia sola carriera per salvarci. Così dopo la Lazio ho detto “vado via, serve una scossa”. Solitamente quando dici queste cose in spogliatoio tutti stanno zitti, invece sono venuti a convincermi che mi sbagliavo. Pavoletti ha parlato a nome di tutti: “Lei non va da nessuna parte”, mi ha detto. È stata la svolta».

Ha un rimpianto? 
«Non aver vinto lo scudetto con la mia Roma. Oggi posso dirlo: l’avrei volentieri scambiato con il titolo del Leicester».

Lei ha detto che se qualche Nazionale chiamasse… Qualcuno l’ha già contattata? 
«Ma no, nessuno. Alla mia età…».

E sulla Nazionale di Spalletti che aspettative si è fatto? 
«Confido in Luciano. Però non chiediamogli l’impossibile. Accontentiamoci del fatto che sta mettendo del seme molto buono nel terreno dei ragazzi e che prima o poi germoglierà». 

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