Qui Roma, mercato, ricavi e fairplay: i conti non tornano

ROMA – Le voci di possibile cessione della Roma sembrano coerenti coi conti del club, afflitti da un persistente squilibrio tra costi e ricavi. Con 219 milioni di perdita, il risultato dell’ultimo bilancio è il peggiore nella storia della società. Perfino più amaro dei 204 del 2019/20, l’ultimo della gestione Pallotta. Il problema vero è che, mentre il progetto tecnico resta appeso all’autorevolezza del totem Mourinho, il progetto economico non decolla. In due anni e mezzo, i Friedkin hanno investito oltre 800 milioni ma non si intravede la fine e neppure il punto in cui la Roma inizierà a produrre flussi per remunerare il capitale investito. Solo nell’ultimo anno e mezzo, il club ha inghiottito 331 milioni di finanziamenti dell’azionista a copertura di un costante assorbimento di cassa derivante dal disavanzo di gestione.

Il mancato decollo dei ricavi

La mera differenza tra ricavi e costi operativi (al lordo degli ammortamenti) segnala uno squilibrio di cassa per 100 milioni, da somare ai 145 dell’anno precedente. Il primo problema della Roma è il mancato decollo dei ricavi, desolatamente stabili a 191 milioni da due anni nonostante la riapertura degli stadi e gli incassi dei pienoni di Conference League. Con un riempimento dell’Olimpico al 94%, la Roma ha ricavato 40 milioni dalla biglietteria (poco più di Milan e Inter con più partite casalinghe delle milanesi) dunque il dato non è espandibile a meno di aumentare i prezzi. Il fatturato commerciale resta sottodimensionato: 39 milioni da sponsorizzazioni, merchandising e pubblicità contro 93 del Milan e 47 dell’Inter. La Roma non ha monetizzato plusvalenze da cessioni di calciatori (come, ad esempio, l’Inter) ma il monte ingaggi resta troppo alto. A fronte di ricavi stagnanti, infatti, aumenta il peso dei costi di cui stipendi e ammortamenti costituiscono, naturalmente, le voci principali. Sommando l’onere delle remunerazioni dei tesserati (155 milioni) e quello per gli ammortamenti dei cartellini (77,5) il costo della rosa si attesta al 121% dei ricavi operativi. Fuori cioè da qualsiasi parametro del nuovo Fair Play Finanziario ma, soprattutto, da ogni regola di gestione sostenibile per qualsiasi azienda. Con una forbice simile tra ricavi e costi, nessun azionista può finanziare perdite strutturali a lungo senza un robusto incremento dei primi o un taglio incisivo dei secondi. In pratica, la Roma è sesta in Serie A per fatturato ma quarta per il costo della rosa.

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Il peso dei cartellini

A fronte di tale dinamica, tutt’altro che virtuosa, i cartellini pesano ancora sul bilancio per 165,5 milioni (in riduzione dai 188 dell’anno precedente) mentre al Milan 127 e all’Atalanta 141, giusto per citare due club che hanno imboccato la strada di una gestione più sana. Se guardiamo le valutazioni di mercato, però, un sito come Transfermarkt stima in 369 milioni il valore complessivo del parco giocatori giallorosso, contro oltre 500 milioni di Napoli, Milan e Inter e 465 milioni della Juventus. Segno che all’impegno finanziario del club non corrispondono, forse, valori tecnici proporzionati. Nei primi due anni della gestione Friedkin (fino al 2021) la Roma ha investito sul mercato come nessun altro club italiano: 134 milioni il saldo attivo tra entrate e uscite. L’estate scorsa Mourinho ha potuto contare però solo su 8,5 milioni di acquisti a fronte di cessioni per 50. Un saldo attivo compensato dall’arrivo di Paulo Dybala a zero ma la crescita tecnica della squadra, pur faticosa, si scontra con un progetto economico che non è mai decollato. Con lo stadio mai partito e un fatturato commerciale incapace di generare risorse sufficienti per finanziare un progetto di crescita, l’investimento dei Friedkin non potrà generare ritorni finanziari e anche un nuovo azionista potrà fare poco per invertire la rotta. 


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