TORINO – Il giorno dopo è un po’ come il giorno prima, nel senso che le convinzioni maturate a caldo subito dopo il disastro non sono cambiate sotto il sole del giovedì mattina. Massimiliano Allegri sa bene che nella rosa della Juventus non manca la qualità né l’esperienza, il problema è che i capipartito e i loro seguaci ne stanno distillando molto meno del necessario. E in una squadra composta in prevalenza da giovani – anzi, da giocatori meno esperti, direbbe Max – la differenza salta agli occhi. La sconfitta con il Sassuolo è stata commentata in pubblico dal tecnico bianconero con parole cariche d’amarezza, rabbia, delusione, non di rassegnazione o sconforto. E la dimostrazione sta tutta nella frase regalata ai media sul tema degli obiettivi che la Juve si pone: «Non ha senso parlarne».
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Già, il giorno dopo si riparte dal nuovo mantra in vigore alla Continassa: gli obiettivi non sono la priorità. E il significato è chiarissimo: si fa così non perché il gruppo s’è già smembrato e non vede orizzonti dopo aver giocato neppure un terzo di campionato, la verità è che non si pensa allo scudetto e al contempo non si abbandona l’idea di un’ipotetica rimonta, che avrebbe del clamoroso, ben al di là di ciò che accadde nel torneo 2015-16. Qui si tratta di un mezzo miracolo, che non è utopia. Né ottimisti né pessimisti, piuttosto realisti perché quelle sei vittorie di fila tra Serie A e Champions non hanno avuto nulla di casuale, dopo un avvio choc. S’è parlato di ritrovata solidità, di una compattezza di squadra che da queste parti non si vedeva dall’ultimo anno di Allegri: quello delle vittorie di «corto muso». I giocatori si sono ritrovati ieri alla Continassa, dove hanno incrociato lo sguardo serio e austero di Allegri in versione sergente chiamato a restituire disciplina a una rosa che, tra Maurizio Sarri e Andrea Pirlo, per motivi diversi aveva smarrito le caratteristiche tipiche di un gruppo d’acciaio.
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