Quattro anni di Var: cosa abbiamo capito

Dal 2017 a oggi la possibilità di rivedere le azioni da parte dei direttori di gara ha cambiato il calcio a tutti i livelli, dal divano allo spogliatoio. Abbiamo chiesto un bilancio a quattro protagonisti: un allenatore, un arbitro, un portiere e un difensore

M. Dalla Vite – G. Di Feo

11 novembre – Milano

Cinque anni fa, se scrivevi “var” sulla Gazzetta ti riferivi a una classica del ciclismo francese, menzionata appena 39 volte. Dal 2016 in poi, da quando cioé l’allora presidente dell’Aia Nicchi annunciò la sperimentazione della Video Assistant Referee, siamo saliti a 8.172 articoli. Che lo strumento principe donato agli arbitri per sbrogliare le situazioni dubbie fosse destinato a incidere tanto sul calcio si sapeva, ma da questa cifra si capisce che è andato oltre, che il calcio lo ha trasformato. La Var azzecca, sbaglia, fa discutere e arrabbiare, fa ripensare certi vecchi schemi, mozza il fiato e cambia il modo di esultare. C’è un calcio pre-var, insomma, e il calcio di adesso. Più giusto? Forse. Diverso? Sicuro. Com’è cambiato ce lo raccontano quattro protagonisti, da quattro angolature differenti. Un allenatore, un ex arbitro, un ex portiere e un difensore. Per tutti si parte dallo stesso punto: quando mi hanno detto che sarebbe arrivata la Var.

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