Profeta pasionario e tormentato: in un libro la storia del comunista che allenò Pelé

Il romanzo del nostro Andrea Schianchi (Slam edizioni) porta il lettore nella vita e nei tormenti di Joao Saldanha, tecnico del Brasile di fine anni ’60 stretto nella morsa della dittatura

Premessa: “Il comunista che allenò Pelé”, ultima fatica letteraria di Andrea Schianchi per edizioni Slam, è un bel libro. Racconta di Joao Saldanha, giornalista e comunista, intransigente e pasionario, tecnico a cui il dittatoriale Brasile di fine anni 60 diede il compito di portare la Seleçao ai Mondiali in Messico mettendo insieme tutte le stelle dell’attacco più forte che sia mai stato dato a disposizione di un allenatore. Ma la vicenda da sola serve a poco, per spiegare perché è un bel libro bisogna partire dall’autore. Andrea Schianchi conosce la storia e la cultura del pallone dal primo regolamento scritto a penna ai giorni nostri con precisione enciclopedica. Anzi, le enciclopedie manco deve consultarle. In Gazzetta ci si abbevera spesso alla sua fonte: chi ha giocato per primo col 4-3-3? Chiediamo a Schianchi. Qual è stato il primo falso nove della storia? Se c’è uno che può saperlo è Schianchi. E il motivo per cui il libro è bello sta qua: Schianchi è in grado di prendere la storia di Saldanha, citare a memoria le sue formazioni, fare la disamina partita per partita delle sue alchimie, dirti quanto era grande rispetto a chi c’era prima o dopo. Ma non lo fa.

SENSAZIONI

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No, Schianchi fa la cosa più difficile che può fare uno scrittore: esce dalla sua confort zone. Avrebbe potuto scrivere un saggio su Saldanha, e sarebbe stato un ricco saggio, e invece no. Ci ha fatto un romanzo. Non ha steso la storia sul lettino dell’autopsia, ma sul foglio bianco dello scrittore. E, miracolo, la fa vivere. Il libro ti accompagna in un Brasile caldo nell’aria e nella gente, ti porta dentro armadi polverosi dove non si trova il vestito giusto e dentro vicoli bui dove si consumano amplessi tristi, ti fa boccheggiare in stanzoni anonimi tra l’aria sporca di mille sigarette spente e la calca sudata della gente intorno, ti fa sentire il fresco di una birra e l’amaro in bocca di una mattina dopo una sbronza. Ti porta dentro la mente di un uomo tormentato, profeta di bellezza e di libertà, stretto nella morsa dei suoi principi e dei suoi doveri, frustrato dalla miopia che vede attorno, artista nel mitigare l’ansia col carisma, uno che come tutti vuole contare fino a dieci prima di fare le cose ma poi non arriva mai a cinque. Sei con lui nell’adrenalina di un discorso o nei sussurri di una poesia di Neruda, ti trovi a sorridere quando lui sorride a ritmo di samba, ti incazzi come si incazza lui di fronte ai giochini di propaganda fascista. Sei con lui davanti allo specchio, dove tutto si riassume. Poi sorridi, capisci che c’è ancora da avere più paura di un temporale che di un mondo ottuso, e ti senti Joao Saldanha. Non è poco.

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