Possesso, Calha e fasce… mobili: ecco la rivoluzione di Inzaghi

Nel nuovo 3-5-2 meno attesa e i gol del turco. E senza Hakimi più alternanza sugli esterni: così il nuovo tecnico vuole andare oltre Conte

Oggi Inzaghi capirà lo strano effetto che fa: sedersi sulla panchina dei campioni, con lo scudetto vicino al cuore e i flash tutt’attorno. La sgambata di mercoledì con i dilettanti del Sarnico, chiusa nel segreto di Appiano, non fa certo statistica: solo oggi a Lugano inizia davvero l’era di Simone. In attesa dei big, il tecnico ha già iniziato a piantare i semi della sua rivoluzione: per raccogliere i frutti servirà tempo e pazienza, ma la sua Inter cercherà di andare presto oltre all’epopea di Conte. Inzaghi vuole conservare il meglio di un biennio in cui il suo predecessore guidava la truppa come un condottiero nell’arena, però intende aggiungere presto anche qualcosa del suo personalissimo stile, in campo e fuori. Così tra i nerazzurri la musica è ufficialmente cambiata: sia nel modo di giocare che in quello di comunicare ora si fa alla maniera di Simone.

Il modulo ‘nuovo’

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Si riparte da una certezza: il 3-5-2. Un sistema che consente di avere continuità tattica, anche se poi – al di là dei numeri – conta l’interpretazione e l’idea di gioco. In difesa cambia poco o nulla: De Vrij sarà sempre il primo play per la costruzione dal basso, i braccetti – Skriniar e Bastoni – dovranno abituarsi all’idea di andare più spesso a palleggiare a ridosso della mediana. E anche Handanovic dovrà prendersi qualche libertà in più con i piedi: dopo una stagione con Reina, Simone ha capito l’importanza di avere un portiere capace di saltare il primo pressing. Conte puntava molto sull’intensità, in ogni zona del campo: qualità e furore: palla riconquistata, e subito verticalizzazione a cercare Lukaku. Inzaghi, invece, predilige il possesso nella metà campo avversaria. Fraseggio veloce palla a terra, possibilmente a due tocchi. E occupazione degli spazi, cercando poi l’imbucata a ridosso dell’area. Almeno così ragionava la sua Lazio. Stavolta, lì davanti, l’arsenale è atomico e la LuLa può essere azionata in modi diversi.

Il clima

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Meno tensione fuori, stessa concentrazione dentro. L’Inter ha scelto Inzaghi anche per le virtù di pacificatore dopo la guerra santa contiana: anni e anni con Lotito forgiano il carattere, aiutano a evitare i conflitti, ma “l’aziendalista” non è certo uno “yes man”. Ad esempio, non si accontenta sul mercato, continua a dare indicazione, ma non può che osservare con realismo la ristrettezza del presente: impossibile chiedere la luna, inevitabile accettare i sacrifici. Di certo, rispetto al passato sarà evitata l’esposizione pubblica dei panni privati, non è nel carattere dell’allenatore. Quando si chiudono le stanze di Appiano, però, non c’è certo rilassatezza, anzi si lavora duro come nel passato. E meglio non farlo arrabbiare, Romelu Lukaku avrà avuto conferma dalla viva voce del fratello: Jordan fu spedito con disonore in tribuna per un ritardo prima di Juve-Lazio dell’estate 2020.

L’effetto Calha

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L’arrivo di Calhanoglu non è stato solo una esigenza, ma una precisa richiesta. Simone stima molto il turco e dopo aver perso Eriksen non ha avuto dubbi sul profilo da inserire. Calha oggi non ci sarà, impegni familiari lo riportano in Germania per il matrimonio del fratello, di cui sarà il testimone. Un permesso accordato già da tempo, anche perché difficilmente oggi il turco avrebbe giocato più di 20’. Simone da Hakan si aspetta soprattutto assist vincenti in stile Luis Alberto, e calci piazzati letali. Da fermo, Calha può essere determinante. Da lui e dai centrocampisti Simone si aspetta tanti gol. Barella è stato il migliore dello scorso campionato con 3 reti, poi Eriksen con 2. Troppo pochi se rapportati ai 15 di Milinkovic delle ultime due stagioni. Uno come Sergej manca a questa squadra, ma non manca di certo la qualità e la possibilità di trovare nuove soluzioni.

Sulle fasce

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Come in epoca Conte, anche adesso le fasce sono materiale sensibile, decisivo: Inzaghi intende avvolgere gli avversari allargando il gioco il più possibile e, per farlo, si aspetta qualche cadeau dall’amministratore delegato Beppe Marotta e dal direttore sportivo Piero Ausilio. Se non esiste in natura un altro Achraf Hakimi, l’obiettivo è arruolare qualcuno che non lo faccia rimpiangere troppo. Poi il cerino rimarrà in mano a Simone, che sugli esterni proverà a ruotare di più gli uomini. Niente titolari scolpiti nella pietra come era (giustamente) il marocchino. Così a destra risale nella gerarchia Matteo Darmian, che della duttilità ha fatto un mestiere: l’esterno italiano sarà pronto ad alternarsi con chi arriverà a fargli compagnia. La sinistra riaccoglie il figliol prodigo Dimarco e, anche se Perisic potrebbe restare nei ranghi, ci sarà più alternanza.

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