Plasmati: “Mihajlović al Catania, dalla sfuriata al telefono alle sue punizioni”

Gavetta e sgomitate da ragazzo, la bella stagione agli ordini di un uomo serbo dal cuore forte e grande, una seconda vita da albergatore tra un Sasso e l’altro. Gianvito Plasmati ha 39 anni ed è ripartito da Matera dove tutto è cominciato

Simone Lo Giudice

30 dicembre

Il tempo passa, ma certe storie non passano mai. Dicembre 2010: Gianvito Plasmati da una parte della cornetta a Catania, Sinisa Mihajlović dall’altra. Uno aspetta la sua mascherina protettiva per tornare in gioco, l’altro vuole solamente che si faccia vivo il prima possibile perché c’è una missione da compiere tutti insieme. L’attaccante di Matera classe 1983 porta nel cuore questa storia e molte altre nella sua nuova vita, fatta di ricordi e pomeriggi lunghi e pieni nella struttura alberghiera incastonata tra un Sasso e l’altro della sua Matera. Nel 2018 Gianvito è tornato nella sua città d’origine, da dove molti partono con il pallone in valigia e pochi arrivano a destinazione. Catania per lui è stata croce e delizia, le reti all’Inter e alla Juventus in Serie A il premio più bello dopo una gavetta lunga e difficile. I suoi sogni di bambino hanno preso la forma desiderata da adulto così, con tanto lavoro e un pizzico di buona sorte.

Gianvito, che cosa fa oggi nella sua vita?

Ho una struttura alberghiera nei Sassi di Matera. Si lavora sempre, soprattutto quando ci sono le feste. Andremo online l’anno nuovo: si chiamerà le Malve Cave Retreat. Il progetto è partito mentre giocavo, ma si è concretizzato negli ultimi tempi. Se la macchina partirà davvero allora potrò fare anche qualcosa di diverso. Ho messo da parte il calcio solo momentaneamente.

Com’è organizzata la sua giornata tipo?

Faccio di tutto e di più. Mi preoccupo del back office e del front office. Quando qualcosa è tuo, ti adatti. Sono tornato a casa per portare avanti questo progetto. Tra me e Matera c’è un legame forte. La mia famiglia vive qui, le mie origini sono qui. Nonostante questo, nella mia carriera mi sono legato ad altre città: Catania dove ho passato tanto tempo, è un po’ la mia seconda casa.

Le manca giocare?

Non ho smesso per mancanza di opportunità, ma per portare avanti la mia attività da albergatore. Nel 2018 sono tornato a Matera per far convivere calcio e albergo. Il fallimento della società è stato decisivo per il ritiro. Per tornare nella mia città ho rinunciato a tante altre occasioni. Mi ero stancato di girare. Quando hai avuto la fortuna di arrivare ad alti livelli, fai fatica a tornare indietro.

Lei ha fatto una dura gavetta prima di arrivare in Serie A…

Ho dovuto sgomitare. Non ho avuto la fortuna di crescere in un settore giovanile strutturato, così sono partito dal basso. Ho avuto problemi nella prima parte di carriera dovuti alla mia struttura fisica che si è formata abbastanza tardi. Mi sono innamorato del pallone come succede a tutti i bambini, a tanti che partono e a pochi che arrivano a destinazione. Io però ho fatto un bel viaggio.

Che cosa ha rappresentato Catania per lei?

Croce e delizia. Da un lato mi ha offerto l’opportunità di esprimermi ai massimi livelli, dall’altro mi ha tolto quello che mi aveva dato. Nel 2010 sono stato messo fuori rosa per una vicissitudine contrattuale tra me e la proprietà gestita da Pietro Lo Monaco. Nel 2015 sono tornato con Giuseppe Bonanno direttore generale, Marcello Pitino direttore sportivo e Fabrizio Ferrigno collaboratore dell’area tecnica. Mi avevano chiesto di ricostruire il progetto dopo lo scandalo dei ‘treni del gol’. Il nuovo avvento di Lo Monaco però ha segnato la fine del mio rapporto calcistico con Catania.

Qual è stato il momento più bello vissuto con i rossoazzurri?

Ne ricordo tanti con Walter Zenga e Sinisa Mihajlović. Tra le due stagioni non dimentico la mezza annata all’Atalanta. Purtroppo non me la sono goduta come avrei voluto perché ho sofferto di ernia dello sportivo, una lesione della parete addominale interna scambiata per pubalgia. Ci ho dovuto convivere. Tutto si è risolto con l’operazione per fortuna.

Lei ha segnato i suoi primi gol in Serie A nel 2008 contro Inter e Juve: orgoglioso per questo?

Sono partito forte! I primi sei mesi a Catania con Walter Zenga sono stati spettacolari, come quelli successivi con l’Atalanta: si salvarono entrambe in maniera agevole. Fu bello.

Che cosa ricorda di Zenga allenatore?

Tutti pensano che Walter sia un guascone, una persona simpatica e quasi leggera. È un allenatore molto preparato, uno che ci sa fare dal punto di vista sportivo: lo dimostra ciò che ha fatto a Catania. Ha sbagliato ad andare via accettando proposte non idonee.

Il suo lavoro specifico sui calci piazzati ha fatto scuola?

Zenga è stato un precursore nel valorizzare le palle inattive. Tanti seguono le sue orme. Lui e il collaboratore tecnico Gianni Vio ci facevano preparare quella situazione di gioco in maniera diversa rispetto a ciò che avevamo fatto. Eravamo sempre pericolosi.

Passando a Mihajlović: la salvezza col Catania 2009-10 è stata la sua prima impresa da allenatore?

Ricordo un uomo carismatico e pieno di umanità come testimoniano gli innumerevoli messaggi di affetto che ha ricevuto durante la malattia e dopo la morte. Quando il mister è arrivato a Catania, noi eravamo in una situazione disastrosa. È riuscito a fare un lavoro straordinario dal punto di vista motivazionale. Quando si arriva in corsa serve tempo per sistemare tutto, l’aspetto tecnico e quello tattico. Sinisa ha fatto leva su quello caratteriale. Trasmetteva carisma e forza. Quando dicono che siamo tutti uguali non è vero, ci sono persone più forti di altre. Mihajlović possedeva questa qualità forgiata nel corso della sua vita. 

Mi racconta la sua prima telefonata con Sinisa?

Ero a Catania fermo per infortunio. La settimana prima mi ero rotto il setto nasale contro l’Empoli in Coppa Italia in tre punti e stavo aspettando che arrivasse la mascherina protettiva. La consegna era prevista per martedì. Nel weekend c’era stata la partita di Siena, ma io non ero stato convocato. Il mister Gianluca Atzori fu esonerato e la squadra si fermò in ritiro a Roma. Mihajlović arrivò, fece la prima seduta di allenamento, non mi trovò e si fece sentire…

E che cosa accadde?

Mi squillò il telefono. Non conoscevo il numero, risposi lo stesso. Senza nemmeno presentarsi, Sinisa iniziò a inveire contro di me: “Dove c***o sei? Cosa c***o fai?”. Ero incredulo, quando ho capito che era lui dall’altra parte del telefono mi sono presentato. Mihajlović mi ha urlato: “Ti ho preso un biglietto per domani, devi venire qui!”. Misero in piedi un volo charter per farmi andare. Mi imbarcai al mattino successivo con la mia mascherina. Il mister voleva che fossimo tutti a disposizione.

Ha altri aneddoti legati a Mihajlović?

Quando cominciarono i problemi tra me e il Catania, Sinisa mi fu molto vicino e provò a portarmi con sé alla Fiorentina. Vedeva del buono in me evidentemente. Purtroppo la mia situazione era complicata: non sapevamo se io fossi libero di accordarmi con altre squadre oppure no. La Giustizia sportiva ha preso tempo per pronunciarsi: il mio caso è stato uno dei più lunghi in assoluto. 

Sinisa era speciale…

Con lui tutto diventava un film! Ricordo il successo contro il Genoa agli ottavi di Coppa Italia. Vincemmo 2-1 contro una squadra importante. Io feci una bella doppietta, nonostante questo mi presi una strigliata perché anziché fare il 3-0 fui altruista nel voler far segnare i miei compagni. Sinisa era furioso perché non avevo realizzato la tripletta. Ricordo quello che passava il terzo portiere Tomas Kosicky: Sinisa lo faceva nero con le sue punizioni, lo bombardava di tiri, non ne prendeva mezzo. Tutto ciò con le scarpe da ginnastica. Non ho mai visto uno calciare così. Mi emoziono quando mi ricordo che un uomo così grande non c’è più. Mancherà al calcio mondiale per le sue qualità tecniche e umane.

12 marzo 2010, Catania-Inter 3-1: è stata la vostra notte più bella?

Ricordo l’espulsione di Sulley Muntari e il cucchiaio di Giuseppe Mascara dal dischetto. In panchina c’era il mister ed era felice. Io ero infortunato, ma stavo con i ragazzi. Poi ci sono stati altri giorni speciali: penso a quello in cui abbiamo conquistato la salvezza. Fu una grande impresa: avevamo appena 9 punti a metà campionato, abbiamo chiuso con 35. Anche la vittoria in casa della Juve ci ha diede tanta fiducia: fu la prima per Mihajlović con il Catania. Il mister si mise contro Lo Monaco convinto che non fossimo obbligati a vincere, disse il contrario davanti a tutti in conferenza stampa alla vigilia e alla fine vincemmo da ultimi in classifica. 

Qual è stata la sua esperienza più bella dopo il primo addio al Catania nel 2011?

Col Varese abbiamo sfiorato la promozione in Serie A, persa contro la Sampdoria nella finale playoff. Non dimentico il periodo a Lanciano in B: a metà campionato eravamo secondi. Poi andai al Siena e mi ruppi il crociato alla terza gara ufficiale. Lì ho giocato con Angelo che gestisce un ristorante brasiliano qui a Matera. Siamo molto amici. Non dimentico nemmeno l’esperienza londinese al Leyton Orient: mi ha fatto crescere sotto tantissimi punti di vista, umana e professionale. 

Qual è stato il difensore più difficile da affrontare?

Mi ritengo fortunato perché il calcio italiano allora era pieno di fenomeni. È stato l’ultimo periodo in cui era il centro del mondo. La linea difensiva del Milan era formata da Paolo Maldini e Alessandro Nesta, c’era anche Jaap Stam. Sugli esterni Gianluca Zambrotta e Marek Jankulovski. Tutti fenomeni, come ci facevano dannare! Erano fortissimi, ma io sapevo come dargli fastidio.

È più facile fare gol oggi?

Ogni periodo ha pro e contro. Bisognerebbe essere dentro per giudicare. Mi dispiace solo che il calcio italiano sia andato indietro: lo dimostrano le due mancate qualificazioni al Mondiale nonostante la vittoria dell’Europeo tra un fallimento e l’altro. Facciamo tanta fatica anche nelle coppe internazionali. È un peccato per il nostro movimento calcistico.

Lei tornerà nel mondo del calcio in futuro?

Mi piacerebbe, ma non so dirti dove e con quale ruolo. Ho sentito alcuni miei ex presidenti e dirigenti desiderosi che li affiancassi. Al momento però non posso spostarmi perché devo aspettare che la mia struttura prenda forma. Ho anche una splendida bimba, un’altra piccola grande gioia. Insomma, gli impegni non mancano. La mia idea di tornare a fare calcio però non è tramontata.

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