Pioli, Verona, il culo di Ancelotti e altre fatalità

Narrano le cronache – e le favole – che anche Pavarotti dovette esibirsi almeno tre volte all’Arena di Verona prima di far scendere sul palco le lucenti stelle e, di lì a poco, Lady D raggiante come un’innamorata. Era il Novanta, la magica stagione dei Tre Tenori. Vent’anni prima, con un acuto fuori ordinanza, Big Luciano aveva indispettito Riccardo Muti, una seconda volta s’era beccato una bronchitaccia per aver gratificato il popolo adorante con un canto e pianoforte sotto la pioggia. E non era Gene Kelly.
Verona è fatale per chi ci crede. Rocco e Sacchi ne pagarono la fatal minaccia. E Pioli? Cosa penserà nel metter piede al Bentegodi? Da giorni non sento parlare che di Verona e precedenti sfigati, di non c’è due senza tre e atomiche gufate: Stefano e questo Milan costruito con le idee e un’insolita, per il nostro calcio, coerenza – oltretutto è meno forte dell’Inter – non le meritano. Non posso sapere chi prevarrà alla fine e non ho preferenze (mi sarebbe piaciuto il Napoli che anche ieri ha alimentato parecchi rimpianti). Ammetto tuttavia che se lo scudetto premiasse chi ha rinunciato a Donnarumma e trovato Maignan, investito sui giovani ed è stato capace di passare dalla disgraziatissima gestione Yonghong Li all’offerta di oltre un miliardo non di uno bensì di due fondi, Investcorp e RedBird, non sarebbe un male.
Oggi si chiude una settimana entusiasmante, quella del “culo di Ancelotti”, che non è un assioma ma un luogo comune tra i più stupidi e disturbanti. Perché, come dice il saggio, “la fortuna ha l’abitudine peculiare di favorire coloro che non dipendono da essa”. Fortunato è un episodio, un salvataggio sulla riga sullo 0-1 o un fallo di mano punito con il rigore del 4-3. Ma poi bisogna farne tre in sei minuti al City per guadagnarsi la finale, l’ennesima di una carriera in cui ci si è tolto lo sfizio di vincere tutti i campionati che contano e di rivivere l’ultimo atto della Champions a distanza di diciannove anni dal primo.
Altra stupidaggine mai abbandonata, quella che vuole Ancelotti vincente solo con i grandi giocatori: senza i fuoriclasse non si arriva ai titoli più importanti. E, nonostante i fuoriclasse, i titoli si possono anche perdere più e più volte, basta chiedere a Guardiola, Pochettino, Tuchel, Klopp, Zidane, Sacchi.
Ancelotti, il migliore di tutti, porterà a Parigi il Real che Florentino stava per affidare ad Allegri, da venerdì di nuovo nel tritacarne della critica e della tifoseria. Dove sta scritto che un grande tecnico, uno che ha conquistato 6 scudetti e perso due finali di Champions contro i migliori Messi e Ronaldo di sempre, non ha il diritto di sbagliare una stagione? È stato un anno di pessime scelte, il suo: ha rinunciato a Madrid, che gli offriva anche più soldi, per tornare a Torino in una società impegnata a ricostruirsi dopo aver “subìto” l’investimento Ronaldo e gli effetti della pandemia sui conti. Inoltre non ha potuto usufruire di un mercato all’altezza, si è dato così da fare per raddrizzare la rotta della nave, investendo non sul breve, ma sulla media distanza.
Solo a gennaio gli è stato consegnato Vlahovic, talento ventiduenne che sta incontrando qualche difficoltà nella nuova dimensione – era già successo ad altri ottimi giocatori. Ambrosini sostiene che l’origine del problema sia tattica e derivi dall’atteggiamento più naturale della Juve, portata a occupare la metacampo avversaria e sfruttare di meno il contropiede, gli spazi nei quali il serbo eccelle.
Proprio l’arrivo a Torino di Vlahovic ha però imposto la chiusura del rapporto con Dybala: ripeto una volta di più che mi auguro possa scegliere la Roma di Mou, destinazione che considero ideale per lui. Come me la pensano alcuni allenatori. Nel 3-5-2 di Inzaghi proprio non lo vedo: rischia di ripetere l’amara esperienza di Robi Baggio. Dybala ha bisogno di giocare con continuità per ritrovare la nazionale, i Mondiali e se stesso. L’amore della gente non gli è mai mancato.

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