Pioli e Inzaghi, il fascino segreto del tricolore

Il pensiero più diffuso sostiene che lo scudetto del Milan sarebbe più sorprendente dello scudetto dell’Inter. È un’opinione che tiene conto della candidatura ufficiale dell’Inter in quanto campione d’Italia, ma che un po’ sottovaluta la trasformazione tecnica della squadra rispetto alla scorsa stagione. Dopo le partenze di Lukaku, Ronaldo e dell’allenatore che lo aveva appena vinto, questo campionato all’inizio era di nessuno ed è rimasto tale anche per lunghi tratti, fino a spostarsi, ma solo nel finale, verso Milano. Alcuni pensavano che il ritorno di Allegri consentisse perfino alla Juventus di battersi per il titolo. Altri, ammirando il gioco di Spalletti (riesploso ieri pomeriggio), immaginavano il Napoli come serio concorrente. E poi c’erano le milanesi guidate da due allenatori che in carriera non si erano mai davvero avvicinati come adesso allo scudetto. Per Pioli e Inzaghi questo finale è nuovo.
Sono due allenatori con stile, non scalmanati, non ossessionati, ma con idee molto chiare in testa. Chiare e differenti. Pioli ha capito lungo il cammino che avrebbe dovuto modificare qualcosa nell’applicazione di un modulo, il 4-2-3-1, che è sempre rimasto lo stesso. Ha lavorato sulle difficoltà di alcuni elementi fondamentali, uno su tutti, Brahim Diaz. Quando si è accorto che il piccolo spagnolo faticava a ritrovare la sua condizione migliore, ha ritoccato il centrocampo avanzando Kessie nei tre dietro la prima punta. Il cambiamento ha prodotto dei risultati e consentito al Milan di non perdere mai contatto con la parte più alta della classifica. Inzaghi ha puntato invece sulla continuità. Non ha mai preso in considerazione un piano di riserva, avanti col 3-5-2 anche quando la squadra si è trovata nel periodo di appannamento e avrebbe avuto bisogno di tentare strade alternative. Ali e ancora ali, questa è stata l’Inter del 2021-22.
A Pioli è mancato quello che Inzaghi ha avuto in abbondanza, la possibilità di cambiare l’attacco. Finito ai margini Ibrahimovic, al Milan restava solo Giroud, nemmeno lui giovincello. Rebic avrebbe potuto e dovuto farlo respirare, ma questa non è stata la sua stagione. Giroud e Leão, l’esperienza e il giocatore che, quando capirà la sua forza, quando si renderà pienamente conto del suo talento, diventerà uno dei più forti attaccanti d’Europa. Inzaghi ha invece alternato le sue quattro punte, tutte dotate di caratteristiche diverse, ha potuto scegliere e modificare atteggiamento durante la partita stessa. Non c’era più Lukaku, ma con Dzeko e Correa, oltre a Lautaro Martinez e Sanchez, ha avuto modo di gestire con attenzione le risorse tecniche e atletiche, come non è stato possibile per Pioli.
Oggi entriamo nel mese decisivo dello scudetto con due signori di 46 (l’interista) e 56 anni (il milanista). Se lo giocano senza conoscerlo, senza sapere quali insidie nascondono queste ultime quattro partite, senza avere idea della reazione del gruppo di fronte a improvvisi cedimenti (depressione?) o fantastiche impennate (eccessiva euforia?). Il vantaggio del Milan è noto: se fa 10 punti ha vinto il campionato. È un vantaggio che l’Inter gli ha concesso senza preavviso. E se fino a mercoledì scorso la prossima giornata sembrava più complicata per Pioli, dopo il 4-0 dell’Udinese (avversaria dei nerazzurri) al Franchi contro la Fiorentina (avversaria dei rossoneri) è più difficile sostenerlo. La bellezza di questo finale sta anche qui: Stefano Pioli e Simone Inzaghi non sanno niente dello scudetto, non sanno come maneggiarlo, come avvicinarlo, come conquistarlo. Diventerà il primo scudetto o la prima terribile delusione della loro carriera.

Inzaghi: “Il gruppo vuole crederci fino alla fine”

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