Per Milano e Roma la questione stadi non è necessità, ma un’emergenza

All’estero gli impianti sono quasi tutti di proprietà, in serie A bisogna fare in fretta per provare a ridurre il gap

Da un quarto di secolo, anche più, la questione stadi è una necessità per il nostro calcio. Conciliare le ambizioni di una società e dei suoi tifosi con i costi di gestione del club era già difficile a metà degli anni Novanta, quando la Juve intraprese il percorso che l’avrebbe portata a avere – una quindicina d’anni più tardi – la disponibilità dello Stadium.

IL RUOLO DEGLI STADI

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Non a caso in questo lungo periodo l’Italia ha perso la leadership internazionale d’inizio millennio: nel 2003 la finale di Champions l’hanno giocata Milan e Juve, e l’Inter è stata semifinalista; adesso non portiamo una squadra nei quarti di finale da due edizioni (l’ultima a raggiungerli è stata l’Atalanta nella stagione del Covid). Un caso? Nient’affatto: tra noi e gli altri – in particolare gli inglesi – è stato scavato un solco profondo a livello economico. E la colpa è anche degli stadi, di cui le nostre società non dispongono, mentre all’estero sono quasi tutti di proprietà, a cominciare dalla Premier eletta comprensibilmente a modello. Attraverso la gestione degli impianti da parte dei club si hanno ricavi assai superiori e si alimentano pure i diritti televisivi: lo spettacolo offerto in strutture moderne e funzionali accresce l’appeal di qualsiasi partita e ne aumenta il valore quando questa deve essere venduta in continenti diversi dall’Europa. Non a caso la grande differenza tra il denaro incassato dalla Lega di Serie A e quello ricevuto dalla Premier sul mercato televisivo è determinato dai diritti internazionali. Se venticinque anni fa lo stadio di proprietà era avvertito come una necessità, e la Juve che è riuscita a costruirlo ha vinto nove scudetti di fila (non è un caso neppure questo), oggi si è andati oltre: quella necessità è diventata un’emergenza.

PRIORITA’

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E come tale deve essere affrontata. Roma e Milano, la capitale politica e quella economica del nostro Paese, non riescono a trovare una via d’uscita: la Roma e la Lazio, il Milan e l’Inter da tempo infinito vogliono uno stadio, ma c’è sempre un intoppo a fermare progetti, idee, ambizioni. A volte gli ostacoli possono essere giustificati, comprensibili; altre volte sono chiaramente determinati da questioni solo burocratiche, da contrapposizioni politiche, da beghe di parte. Le situazioni sono differenti in base ai momenti: il progetto Pallotta alla Roma è naufragato, quello Friedkin è partito, ad esempio; durissima è la lotta dei due club milanesi affinché si faccia chiarezza sulla possibilità di costruire il loro nuovo stadio a San Siro oppure altrove. Rinvii, polemiche, forzature: mai una svolta, e così passano gli anni senza che niente di concreto si sblocchi. In un’intervista alla Gazzetta il presidente laziale Lotito, adesso anche senatore, ha invocato “un sistema commissariale centrale che prescinda da interessi particolari” affinché qualcosa cambi davvero. Può essere questa la soluzione? Forse, chissà. Di sicuro è indispensabile che qualcosa accada perché in Italia occorrono quanto prima stadi grandi e belli, moderni e funzionali. È frustrante continuare a guardare il resto del mondo crescere, mentre noi ci avviluppiamo nella nostra burocrazia. È un’emergenza? Trattiamola da emergenza.

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