“Pensavo fosse uno scherzo”: la storia del terzino che ha fatto il portiere nelle Comore

L’eroe del piccolo arcipelago che se l’è giocata fino alla fine col Camerun: con tre portieri fuori per Covid, tra i pali c’è andato il mancino dell’Ajaccio, alto 1.72. E quasi beffava Aboubakar

All’inizio sembrava tutto un gioco. Le battutine dei compagni, che in allenamento vedevano quel piccoletto saltare da una parte all’altra della porta. Rideva, e loro ridevano con lui. Poi spunta la maglia. Blu, con il numero 16 e il suo nome stampato sopra. Eh sì, una divisa da portiere in piena regola, con un colore diverso dalle altre. L’ha presa e ci ha disegnato sopra un “3” con il nastro adesivo, che sarebbe il suo vero numero. Come si fa tra amici nei tornei di calcetto. Mentre lo faceva, però, Chaker Alhadhur, ha capito che il tempo degli scherzi era finito. “Fino a quando non l’ho indossata, non ci ho creduto – racconta a fine partita -. A quel punto mi sono detto: ‘Ora è una cosa seria’”.

SERATA TREMENDA

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Trent’anni, un metro e 72 centimetri, non certo l’altezza ideale per giocare tra i pali (ma ci sono ottime eccezioni), faccia sorridente e una vita passata a fare il terzino. “Onestamente – ammette Alhadhur – all’inizio ne avevamo parlato così per scherzare, poi col passare dei giorni la faccenda è cominciata a diventare reale. Mi hanno scelto, non ci credevo”. Gli hanno fatto mille domande, prima e dopo la partita, gli ottavi di finale contro il Camerun, persa 2-1 dalle sue Comore. A giornalisti, dirigenti, giocatori… lui ha sempre risposto la stessa cosa. Banale? Forse. Di sicuro la verità: “Come ci sono riuscito? Quando sei lì, semplicemente, non devi far altro che giocare”. Non c’è scelta, né segreti particolari. Alla fine la sua prestazione è stata l’unica cosa capace di far sorridere in una giornata da incubo, iniziata tra le polemiche e conclusa con la notizia di morti e feriti fuori dallo stadio Olembe della capitale Yaoundé, per circostanze ancora da chiarire, nella calca che cercava di entrare nell’impianto.

NIENTE MALE

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Le polemiche sono per la mancata deroga che la Caf non ha concesso alle Comore, rimaste senza numeri 1 tra i 12 casi di Covid e l’infortunio di Salim Ben Boina. Costrette a schierare un giocatore di movimento nonostante il portiere Ali Ahamada si fosse negativizzato lunedì. Peccato che nel mentre è cambiato il protocollo sanitario e avrebbe dovuto aspettare 5 giorni prima di scendere in campo. Regole diverse da quelle con cui si è disputata Nigeria-Tunisia, ma tant’è. Hanno scelto Alhadhur, che non aveva ancora giocato un minuto in Coppa d’Africa e si è trovato a farlo in un ruolo non suo, in una partita da dentro e fuori. Al primo tiro di Toko Ekambi, intorno la mezzora, ha preso gol, ma appena si è scaldato un po’ ha iniziato a difendersi. Sgraziato, sì. Goffo, pure. Però, senza paura, nella ripresa ha salvato almeno tre volte il risultato. Due di queste contro Aboubakar, il capocannoniere della competizione, non certo il primo arrivato. Incarnando l’orgoglio di una nazionale ferita, rimasta incastrata dalle regole e senza il proprio capitano, espulso dopo sei minuti. Una condizione mentale che porta un centrocampista di 31 anni del Guingamp, M’Changama, a segnare una rete su punizione “alla Pirlo” in grado di riaprire una partita che non doveva avere storia. E di esaltare il terzino sinistro dell’Ajaccio, serie B francese, che si butta e para con lo stesso coraggio di De Gea. A fine partita anche Onana, portiere del Camerun ed erede di Handanovic all’Inter, gli ha fatto i complimenti.

DA PANCHINARO A EROE

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Nemmeno in Corsica, a dire la verità, Chaker Alhadhur trova molto spazio. È arrivato a ottobre da svincolato e ha giocato tre minuti contro il Nîmes Olympique. A Nantes, città portuale nella parte nord-occidentale della Bretagna, cresce e diventa un calciatore, dividendosi tra la squadra B e quella di Ligue 1, dove mette insieme 40 presenze. Allo Châteauroux ha più fortuna: 84 partite, 4 gol e 7 assist dal 2017 alla scorsa stagione, quando è retrocesso in terza serie. Almeno in Nazionale, a novembre, una ventina di minuti contro la Sierra Leone li aveva fatti. Non pensava certo di mettere in difficoltà il Camerun da portiere. “Ma non sono l’unico eroe – ammette a fine gara – tutta la squadra ha fatto un grande lavoro. Io ho fatto quello che ho potuto, ho dato speranza, loro si sono impegnati per non farli tirare in porta. Questo è il calcio, mi tengo il buono che c’è”.

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