Parla Denis: “ Io, Messi e Diego. Vi spiego qual’è il segreto di Scaloni”

Un pallone infangato nell’angolino del negozio di frutta di famiglia, poi la prima volta al fianco di Messi sotto gli occhi di Maradona, oggi la gioia più grande dopo una carriera lunga e bellissima. Germán Denis ha 41 anni e si diverte ancora

Simone Lo Giudice

23 dicembre

29 giugno 1986, silenzio assordante in casa, televisore acceso sul Messico dove Diego Armando Maradona ha appena riportato l’Argentina sul tetto del mondo. Germán Denis ha solo quattro anni: pochi per comprendere la grandezza del miracolo sportivo, abbastanza per cominciare a inseguire il pallone praticamente ovunque. La favola dell’attaccante originario di Lomas de Zamora in provincia di Buenos Aires è iniziata così e, per fortuna, non è ancora finita. Germán ha giocato con Lionel Messi nell’Argentina allenata da Maradona, ha sofferto con lei nella notte del 13 luglio 2014 al Maracanã che ha visto sorridere la Germania. Si è riscattato otto anni dopo a 12mila chilometri di distanza contro la Francia dopo più di 120 minuti di partita, sofferenza e lacrime. Denis ha seguito l’impresa dall’Italia, il suo secondo Paese, quello delle belle stagioni a Napoli e Bergamo, dove ha giocato e vinto al fianco del futuro c.t. campione del mondo Lionel Scaloni e dove è tornato a divertirsi con il pallone, tra i piedi e nel cuore.

Germán, quanto è felice per la sua Argentina?

È una delle gioie più grandi della mia vita dal punto di vista calcistico. Non avevo mai provato nulla di simile. Quando l’Argentina ha vinto nel 1986 con Maradona io avevo solo quattro anni. Non ricordo niente. Questo Mondiale è qualcosa di ineguagliabile. 

C’è stato un momento chiave per l’Albiceleste in Qatar?

A parte la semifinale contro la Croazia, tutte le altre partite sono state combattute. Abbiamo sofferto tanto e rischiato. È successo anche in finale dove le due reti di Kylian Mbappé hanno complicato tutto. Prima di quelle due fiammate non c’era stata partita, l’Argentina aveva giocato a livelli altissimi. 

Ha pensato al peggio sul 2-2?

Sì, però siamo stati forti. I ragazzi si sono rialzati, sono andati a cercare il 3-2 e lo hanno trovato. Quando abbiamo preso il 3-3 mi è venuto un colpo quasi… Ai rigori il portiere Emiliano Martínez ha fatto la differenza, sa pararli, così ci ha dato una grossa mano. È stato bellissimo vincere così.

Messi, Martínez e poi chi altro è stato determinante per questo successo? 

Enzo Fernández e Alexis Mac Allister, Ángel Di María che viene sempre fuori nei momenti più difficili, anche Julián Álvarez ha fatto benissimo in Qatar. Tutta la difesa è stata straordinaria: Cristian Romero e Nicolás Otamendi sono stati impressionanti.

Messi ha vinto un Mondiale come Maradona: la sfida tra loro due è alla pari adesso?

Non mi piace paragonare fenomeni di epoche diverse. Messi ha fatto il suo per 15 anni, ha vinto tutto quello che c’era da vincere, si è portato a casa il Pallone d’Oro per sette volte. Con l’Argentina ha vinto la Copa América, la Finalissima e il Mondiale. Ha fatto la storia. Maradona era un fenomeno in un’altra epoca. Sono giocatori sullo stesso livello. La mia adorazione per Leo è speciale.

Messi è stato fenomenale a 35 anni…

Alla sua età ha raggiunto la maturità e l’esperienza per vincere. Messi ha giocato come un ventenne in Qatar, è stato strepitoso.

Com’è stato giocare insieme a Leo nell’Argentina?

È stato speciale condividere alcuni momenti col giocatore più forte del mondo. Parlerò di Messi ai miei nipoti. Ho avuto anche la fortuna di essere allenato da Maradona. Ho giocato con Leo e sono stato convocato da Diego: mi sento un uomo privilegiato.

Com’era Maradona da allenatore?

Cercava di darci la sua forza. Lavorava tanto sullo spirito, ci trasmetteva la sua esperienza. In quella nazionale poi c’erano tanti giocatori di talento, Diego doveva pensare solamente a gestirli.

A proposito di c.t. argentini: lei ha giocato con Lionel Scaloni. Com’era dentro e fuori dal campo?

Abbiamo costruito un bellissimo rapporto da compagni di squadra. Si capiva già il suo carattere forte, studiava gli avversari nel corso della settimana. La sua esperienza e le sue idee di gioco ci hanno aiutato tanto per raggiungere la salvezza con l’Atalanta. Ci trasmetteva grande tranquillità. Allora come oggi ripeteva sempre la stessa cosa: lavoriamo, ma ricordiamoci che è solo un gioco.

Come cambia la storia dell’Argentina con questo Mondiale vinto?

La gente soffre ogni giorno perciò serviva questa grande felicità che ci hanno regalato i ragazzi di Scaloni. Quello che hanno fatto resterà. Vedere quattro milioni di persone per Buenos Aires festeggiare è stato impressionante. Ci voleva per il popolo argentino.

Sono passati 36 anni dall’ultima volta: avete aspettato troppo?

Sì, è stata lunga. Bruciano le sconfitte nelle finali di Italia 1990 e Brasile 2014. L’ultima l’ho vista di persona, ero al Maracanã con la Germania. Il gruppo era simile a quello di Scaloni. C’era Alejandro Sabella, un allenatore molto preparato che purtroppo ci ha lasciato. L’Argentina aveva avuto grosse occasioni, ma non era riuscita a sfruttarle. In Qatar gli attaccanti sono stati più concreti. E c’è stato un Messi devastante.

Per voi argentini il calcio è tutto: era così anche quando lei era bambino?

Ogni bambino che inizia a dare i primi calci sogna di diventare come Messi e di disputare il Mondiale. Si gioca sempre: per strada, al campetto, ovunque. Da piccolo sognavo di essere come Gabriel Omar Batistuta. In Argentina i bambini crescono giocando. 

Che cosa ricorda della sua infanzia?

Giocavo sulla strada di casa. Quando uscivo prendevo il pallone come prima cosa. Non c’erano né il computer, né la PlayStation, né il cellulare. Ci divertivamo con il calcio. Giocavamo sopra i sassi, spesso le strade erano ricoperte di fango. Siamo cresciuti così.

C’erano altri sportivi nella sua famiglia?

No, ero l’unico. Mia madre era maestra alle scuole elementari e mio padre aveva un piccolo negozio di frutta. Da piccolo ci andavo spesso per dargli una mano.

Lei ha fatto la spola tra Argentina e Italia: che legame ha con il nostro Paese?

Tra me e il vostro Paese c’è un rapporto forte. Ho vissuto momenti bellissimi: penso alle stagioni con Napoli, Atalanta e Reggina.

Marek Hamsik ha detto che è disposto a tagliarsi la cresta pur di tornare a Napoli per un anno e vincere lo scudetto: che ne pensa?

Rivederlo sarebbe bellissimo. Lui si identifica tanto con la città e la maglia azzurra. Meriterebbe di finire la carriera a Napoli. Spero che la squadra di Luciano Spalletti continui ad andare così forte in Serie A e che vinca lo scudetto. Se lo merita.

I napoletani hanno festeggiato il vostro Mondiale…

Dopo la partita io sono andato in Piazza Duomo a Milano, era pieno di tifosi. Però a Napoli è diverso: c’è un legame speciale tra la città, l’Argentina e Maradona.

L’ha fatta sentire speciale?

Sì, ho costruito un legame bellissimo con città e con tifosi. È nato qualcosa di simile tra me e Bergamo, dove sono stato per cinque stagioni. Mi ha fatto sentire unico dal mio arrivo. La società stava vivendo un brutto periodo. Abbiamo iniziato il campionato con sette punti di penalizzazione, ci davano per spacciati. Averne fatti 56 punti è stato spettacolare. I tifosi ci sono stati molto vicini.

Perché gli argentini si trovano così bene a Bergamo?

C’è un tifo speciale, uno dei più belli d’Italia. La gente segue tanto la squadra, ci tiene davvero. L’Atalanta è tutto per loro. Negli ultimi anni la squadra è cresciuta ancora di più: merito della società e della famiglia Percassi che ha fatto un lavoro straordinario.

Che cosa le ha lasciato l’esperienza alla Reggina?

Ho vissuto tre stagioni bellissime. Al primo anno abbiamo stravinto il campionato di Serie C con una tifoseria caldissima, simile a quella di Bergamo e Napoli. Anche la mia famiglia si è trovata bene a Reggio Calabria. Mi è dispiaciuto averla lasciata così. Volevo andare via in un altro modo. Purtroppo non sono riuscito a salutare il popolo amaranto, magari in futuro potrò farlo. Ci spero.

Lei è tornato a Bergamo e gioca nei dilettanti: come va questa esperienza?

Sono al Real Calepina. Mi alleno e gioco tra Telgate e Grumello del Monte. L’allenatore e il suo vice sono miei amici. Sto cercando di divertirmi, è una bella esperienza.

Che cosa farà dopo il ritiro? La vedremo allenatore come Scaloni?

Fare quello che ha fatto Lionel sarà quasi impossibile, pochi ci riescono nella loro vita. Non mi vedo molto come allenatore, di più come dirigente.

Che cosa le ha insegnato il calcio fino ad oggi?

Ho imparato tanto. Ho fatto molti sacrifici, ho stretto legami straordinari. Oggi so che cosa significa il rispetto grazie al calcio.

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