Paolo Calabresi: “La Roma mi ha cambiato la vita. E ora mi godo mio figlio Arturo”

L’attore Paolo Calabresi, papà del calciatore Arturo Calabresi, è tra i protagonisti di School of Mafia e lo vedremo in Boris 4. Ci parla di Roma, NBA e tennis

Elisabetta Esposito

24 giugno – Milano

A sentire certe storie, viene da pensare che si tratti di una sceneggiatura di un film. Sarà pure per il modo con cui Paolo Calabresi racconta la sua vita, cambiando voci e toni, trasformandosi freneticamente a seconda delle situazioni. “Del resto è questo il bello del mestiere dell’attore, cambiare volto, cambiare registro, cambiare tutto. E io è tutta la vita che faccio così, ho iniziato con Strehler, sono passato dalle Iene e adesso sono entrato nel ‘sistema’ che mi permette di muovermi nel cinema italiano facendo ruoli anche diversissimi”. L’ultima trasformazione è quella in un boss newyorchese in “School Of Mafia” di Alessandro Pondi, in sala dal 24 giugno. “È un film disegnato con la mano del vecchio cinema che piace a noi, da ‘C’era una volta in America’ a ‘Quei bravi ragazzi’, ha una grande regia, grande fotografia e c’è un tentativo di recitarlo con la classicità del western. Poi c’è il segno della commedia, quell’alleggerimento che, come in tutte le vere commedie, deve avvenire solo su una base solida, che qui c’è”.

School of Mafia” racconta anche di figli che non seguono la strada dei padri…

“Io lo so voi dove volete anda’ a para’…”.

Beh, è troppo ghiotta. Lei, attore famoso, è il papà di Arturo Calabresi, calciatore famoso (proprietà del Bologna, ha chiuso la stagione in prestito al Cagliari).

“In effetti è assolutamente in linea con il tema de film. Lui ha preso una strada lontanissima dalla mia. Io dopo l’ultima volta in cui ho giocato a calcio, in un Derby del Cuore, sono stato fermo due anni e mezzo, prima per la fascite plantare, poi per l’ernia del disco… Quindi non è proprio il mio mestiere, non lo è mai stato, anche perché io giocavo in Serie C di basket e sono stato un tennista classificato, ma non ho mai fatto la carriera. Né mi aspettavo l’avrebbe fatta Arturo”.

Non ci puntavate?

“Lui è il primo di quattro figli… Lo portavamo a calcio così come portavamo la seconda a ginnastica artistica. Non mi fermavo mai a vederlo giocare, troppi impegni tra lavoro e gestione familiare. Poi un giorno, lui avrà avuto 11-12 anni, riuscii a andare a una sua partita. Prima del fischio d’inizio mi fermò il padre di un altro bambino, uno grosso, che con il dito indice puntato mi disse: ‘Tu sei er padre de Arturo? Tu lo sai che tu’ figlio è bravo?’. Sembrava una minaccia, il sottotesto era: ‘Tu hai il figlio così bravo e ti permetti di non venire mai, il mio è una pippa e vengo tutti i giorni qui da Aprilia…’. Però da quel giorno ho iniziato a andare e ho capito che effettivamente Arturo aveva qualcosa di particolare. Poi lo ha preso la Roma, tardi, intorno ai 14-15 anni, segno che davvero ci avevano visto qualcosa di buono, ed è diventato professionista. Noi siamo sempre stati contenti, perché anche se si vedono cose orrende, alla fine vince la parte poetica. ‘Sto ragazzino ha fatto tutto da solo, a dispetto di tutti, è stato bravo ed è arrivato in Serie A e in Nazionale Under 21. E farà ancora tantissimo, perché io lo conosco, ha una tigna, non molla mai…”.

È così pacato e saggio anche quando va a vedere qualche partita di Arturo?

“Magari! Sono il tipo che si attacca alla rete come un gibbone! Perdo completamente la brocca… Chiedete a Pietro Sermonti che era con me al Parco dei Principi quando Arturo con l’Amiens affrontava il Psg. Marcava Neymar… Litigavano in continuazione e io ho cominciato a urlare come un pazzo, mi guardavano tutti malissimo”.

Parliamo della sua passione per la Roma?

“Beh, è un rapporto d’amore importante. È stata la donna che mi ha cambiato la vita”.

Addirittura?

“Eh sì, perché la mia carriera alla fine ha preso una strada inaspettata dopo il blitz nei panni di Nicholas Cage per Milan-Roma, il 9 gennaio del 2000. Dietro quella vicenda c’era solo il mio desiderio di vedere la partita”.

Racconti meglio.

“Lavoravo al Piccolo Teatro di Milano e io volevo assolutamente andare a San Siro. Erano finiti i biglietti e ho pensato di chiederli a nome di Nicholas Cage. Io non credevo di dovermi trasformare, volevo solo entrare allo stadio, magari mi sarei seduto in un posto diverso. Ma il Milan fece partire una grande macchina mediatica, volevano venirmi a prendere con la macchina, sapevo che mi avevano messo vicino a Galliani e a quel punto… Ho preso due amici e colleghi grossi come guardie del corpo, l’auto del Piccolo perché io avevo una Punto poco credibile e ho fatto il mio numero. Avrò firmato trecento autografi ed è finita con me negli spogliatoi accompagnato da Galliani… Volevo conoscere Totti e continuavo a ripetere, in un italiano americanizzato: ‘Captano’… Ci hanno presentati, dicevo solo: ‘Number One’. Comunque è stato tutto assurdo, ma questa follia figlia di una cosa futile ma bellissima come la Roma mi ha fatto capire come volevo fare il mio lavoro: me lo aveva insegnato anche Strehler, l’attore deve far finta di essere un altro. E io quello avevo fatto e quello volevo fare”.

Che pensa della Roma di adesso?

“L’arrivo di Mourinho è stato bello, curioso e inaspettato. È un personaggio particolare e bravissimo, ma il suo ingaggio è importante soprattutto per quello che si porterà dietro: sono sicuro faranno degli acquisti importanti”.

Sta guardando la Nazionale?

“Sì, che bella squadra, gioca totale, mi ricorda l’Olanda del ‘74. Tutti e undici sono coinvolti nel gioco, è bella”.

Altre passioni?

“Il basket Nba, ma soprattutto il tennis. Lo seguo moltissimo e sono felice della nuova ondata di talenti italiani. Speriamo possano fare bene anche a Wimbledon, a partire da Berrettini”.

Ci ha detto che è stato molto sportivo, adesso come si tiene in forma?

“Sono uno di quelli che non può fare a meno di andare a correre, gioco a tennis e non voglio cedere al padel perché so che se prendo in mano quella racchettina poi non me la tolgo più. Invece io voglio ancora aprire il rovescio, servire come si deve, fare i lungolinea. Il tennis quindi mi piace tanto, gioco spesso con Sermonti al Circolo Parioli. E poi scio. Il tutto facendo sempre molto stretching perché sono a rischio…”.

Giusto. Progetti professionali?

“Sto girando un film di Costanza Quadriglio che si chiama ‘Diva’, che è il nome del vaccino contro l’aviaria: una storia ispirata a quella di Ilaria Capua, molto interessante…”.

E poi c’è il ritorno più atteso.

“Eh sì, finalmente possiamo dirlo. Dopo circa dieci anni torna ‘Boris’, con la quarta stagione. Dovremmo iniziare a girare a settembre. Sarà bello ma strano, noi siamo tutti un po’ diversi e mancano due persone importanti come Mattia Torre e Roberta Fiorentini, Itala. E ci ha lasciato anche il Dottor Cane, Arnaldo Ninchi, un grande attore che mi piace ricordare. Del resto è cambiata pure la rete, i padroni del mondo non sono più quelli di dieci anni fa, ora vengono da fuori… E il nuovo Boris parlerà anche di questo”.

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