Ottovolante Juve. Tre cose da salvare e tre da buttare a un terzo di campionato

Ottavo posto a -14 dalla vetta, 18 punti, 16 gol fatti e 15 subiti: eppure sotto le nude cifre ci sono anche le basi su cui Allegri può fondare il rilancio della squadra

Dodici giornate sembrano poche. Ma in realtà possono dire molto, su una squadra partita per vincere e approdata poi su ‘secche’ inattese. Ma che nel contempo si è conosciuta, si è fatta le ossa, e forse anche costruita una base più solida su cui innestare la Juve che verrà. A una prima occhiata il bilancio del primo terzo di campionato, minuto più minuto meno, è negativo, con un ottavo posto a -14 dalla vetta, 18 punti conquistati, 16 gol realizzati e 15 subiti. Ma dietro alle nude cifre c’è stato e c’è anche altro. Saliamo dunque su quell’ottovolante che è stata fin qui l’annata bianconera, salvando il salvabile e buttando dalla torre quel che ha zavorrato fin qui la stagione.

Le tre cose da salvare

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1) La forza di reazione esplosa dalla Juve quando tocca il fondo: è successo dopo l’avvio shock con un punto in tre gare , abbruttito dalla sconfitta casalinga contro l’Empoli, ed è successo nuovamente dopo il doppio k.o. consecutivo contro Sassuolo (ancora all’Allianz) e Verona, nelle due gare che avrebbero dovuto proiettare la Juve in ben altra orbita, dopo nove risultati utili di fila. Ma nonostante la sanguinosa batosta la squadra bianconera ha reagito con prontezza, andando a prendersi sei punti contro lo Zenit in Champions e la Fiorentina in campionato.

2)La ‘faccia’ europea della Juve: è vero che giocare in Europa o in Italia non è la stessa cosa, ma dalla Champions arriva la benaugurante conferma che la Juve ha nelle sue corde anche un’attitudine e una capacità di approccio dominante al match e di un gioco offensivo di squadra che va oltre la stoccata del singolo. Quattro vittorie in 4 match, di cui una contro il Chelsea a smentire chi vede solo avversari modesti nel girone, non possono essere un caso. La sfida al limite è riuscire a traslare mentalità e atteggiamento tattico dalla competizione europea al campionato.
3)Allegri chiama, la squadra risponde. “Quando sono arrivato non conoscevo tutti i giocatori della rosa”, ha detto il vecchio-nuovo allenatore qualche settimana fa. Una situazione che ha richiesto un po’ di rodaggio anche sul piano della comunicazione. Ma ora, dalla famosa sfuriata di Allegri nel tunnel degli spogliatoi in poi, la squadra appare più reattiva alle richieste del suo allenatore, dall’atteggiamento con cui i “dodicesimi” entrano in campo a gara iniziata, all’esecuzione delle mansioni richieste in partita da parte dei titolari. Così disponibilità al sacrificio e piacere nella sofferenza sono concetti allegriani che la squadra sta tornando a far suoi, mentre appare ancora intermittente nella lucidità con cui gestisce le diverse fasi di gara.

Le tre cose da buttare

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1) La fase realizzativa. Sedici gol in 12 gare fotografano una capacità di trovare la via del gol sulla quale c’è ancora molto da lavorare. Eppure il numero delle conclusioni, nel confronto con le altre squadre, è buono: la Juve ha una media di 13,5 tiri a partita, stando ai dati della Lega, ed è sesta per numero di tiri complessivi. A guardare le cifre il problema sta nella mira, anche per l’incidenza dei tiri fuori dallo specchio. I dati relativi alla bassa percentuale realizzativa diventano il punto di partenza per un’ulteriore analisi: potrebbe mancare la necessaria tranquillità, o magari la lucidità. Intanto l’attuale bomber della squadra è Dybala, con tre reti realizzate in campionato e 26° nella classifica generale, mentre Kean e Morata sono fermi a quota 2. E certo ha prodotto meno del preventivato pure il centrocampo, alla vigilia chiamato da Allegri a rintuzzare la quota gol automaticamente persa dalla Juve con la partenza di Ronaldo. Fatto sta che la squadra con 16 centri è tredicesima nella classifica delle reti fatte, peggior risultato delle ultime 10 stagioni, a pari merito con il 2015-2016, l’anno della grande rimonta.

2) La mancanza di identità di squadra: va bene la versatilità, la capacità di adattamento alle caratteristiche degli avversari, il “camaleontismo” alle varie fasi di un match, ma finora alla Juve è spesso mancata un’anima, quel collante che trasforma un gruppo in una squadra, sul piano mentale e del gioco, o quel ceppo di caratteristiche dominanti che danno forza identitaria a una compagine. Allegri ha cambiato 16 formazioni in 16 partite, in cinque occasioni inserendo ben sei novità rispetto al match precedente. Se alla base dei continui cambiamenti ci sono stati infortuni e sana sperimentazione, ora, dopo un terzo di campionato, è arrivato il momento di scelte più definite, in direzione di un assetto più stabile.
3)Il confronto con le piccole. Un punto fatto, 11 persi: è questo il bilancio bianconero nei 4 match contro Udinese, Empoli, Sassuolo e Verona. Ed anche la spiegazione di una classifica infelice. Tre sconfitte, un pareggio e solo due vittorie (con Samp e Spezia), è il poco invidiabile ruolino di marcia della Juve contro le squadre che le stanno alle spalle in graduatoria. Contro le grandi ha invece perso solo una gara, contro il Napoli, collezionando anche due pareggi con le milanesi e 6 punti con Fiorentina e Roma, oltre alla vittoria nel derby, che fa sempre a sé. A conferma che il problema sono proprio le cosiddette “piccole”.

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