Osimhen fra I big d’Europa: solo due top player hanno fatto meglio di lui

NAPOLI – I gol si contano, si pesano, si vivono, si spalmano in una stagione che sa di favola: tredici volte Osimhen in campionato sono diventati un fattore, sono serviti per scavare un solco tra il Napoli e quel macrocosmo che insegue, a distanza ragguardevole, e che si chiede come sia possibile eventualmente provare a frenare una squadra ch’è prossima alla perfezione. Osimhen è il centravanti moderno costruito da Spalletti, completato attraverso un lavoro paziente e scrupoloso, educandolo a fare altro, immergendolo in un processo evolutivo che ha modificato la natura stessa del centravanti nigeriano e ne ha allargato ulteriormente gli orizzonti.

I fatti

Osimhen è diventato decisivo, anzi devastante, orienta le partite, incide segnando ma anche dialogando con una squadra che sente sua, alla quale dà consistenza tecnico-tattica attraverso letture che cominciano ad appartenergli compiutamente. Il primo Osimhen, quello che arriva nell’estate del 2020, segna relativamente poco, resta a lungo a guardare perché gli succede di tutto (il Covid, un intervento a una spalla, una commozione cerebrale), deve convivere con la sfortuna e anche con un football un po’ individualista, fondato sulle proprie, incontrollabili progressioni: ma sono dieci reti in 1.864′. Il secondo Osimhen non riceve grandi attenzioni dalla sorte, finisce di nuovo in sala operatoria dopo uno scontro fortuito con Skriniar, ma intanto è già un altro anche statisticamente: sono diciotto gol in 2.314′. Il terzo è quello che diventa il prodotto del lavoro di Spalletti…

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L’esplosione

I numeri raccontano fino a un certo punto l’esplosione di un attaccante che adesso non aspetta esclusivamente che il campo diventi un orizzonte infinito nel quale andare a scavallare con le sue lunghe gambe: Osimhen adesso segna stando nei sedici metri e riempiendoli o anche andando a costruire attraverso il movimento largo o nello stretto, dialoga, fa la pase passiva, sistema la propria firma in partite altrimenti spigolose. A Salerno, il derby lo aveva aperto Di Lorenzo ma lo ha chiuso lui, con il tap in dopo il palo di Elmas; a Marassi, due settimane prima, aveva provveduto a sbloccarla; con la Juventus, visto che gli mancavano gli acuti con le grandi, se ne è andato cuna doppietta e con un assist per Kvara, diventato il suo splendido socio in affari.

E ora

La prossima frontiera, ovviamente, si chiama Champions League, che di Osimhen ha visto poco, perché la dea bendata fa quel che gli pare e il nigeriano ne ha giocate poche: si fece male alla prima, contro il Liverpool, e dopo quaranta minuti e un rigore sbagliato dovette uscire; saltò le trasferte a Glasgow e ad Amsterdam, rientrò con l’Ajax e fece in tempo a metterci un autografo, poi panchina per turnover con i Rangers, anche perché intanto Simeone e Raspadori avevano cominciato a segnare, gli facevano sentire il fiato sul collo o semplicemente lanciavano messaggi che Osimhen ha colto, per riprendersi la scena. Intanto, ha smesso di esultare a petto in fuori, levandosi la maglietta e prendendosi – puntualmente – un giallo, che a Spalletti, dopo la vittoria con il Bologna, andò di traverso. «Gli ho chiesto come mai festeggia in quel modo e non mi ha saputo rispondere. Secondo me non accadrà in più». Ha cominciato a togliersi la maschera, per presentarsi in Champions nella sfida con Haaland e Kane, gli unici che gli stanno davanti, a volto scoperto: piacere, sono Osimhen.

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