Non è così che si proteggono le nazionali

ROMA – A chi e cosa servono partite del genere? A Mancini? Dubito: il ctt – commissario tecnico teleguidatore – ha dovuto convocarne poco meno di una cinquantina («tutti gli italiani che giocano in serie A», la battuta, attribuitagli, che circolava domenica) per poi ridursi, tra una bolla e una Asl, ad attaccare con la coppia Lasagna-Grifo (bella doppietta, comunque). Al ranking? Certo: ma, ribadisco, in quali condizioni si è presentata la nostra Nazionale per provare a rientrare fra le teste di serie Fifa?

Il difetto è all’origine: le nazionali sono fondamentali, sono la nostra identità calcistica, l’emozione collettiva dell’estate a bienni alterni, e quindi andrebbero amate e tutelate. Anche dalla stampa, soprattutto nei momenti diffi cili. Ho scritto difficili, non impossibili: da mesi siamo dentro una pandemia e quindi condannati a dolori indicibili, pesanti adattamenti, rinunce, tagli, reclusioni. Uefa e Fifa, che hanno il copyright del calcio europeo e mondiale, sono ormai diventate delle organizzatrici di eventi, ruolo che assorbe il 90 per cento delle loro energie e delle loro finanze. Ogni tanto si svegliano e s’inventano qualche regola – come ad esempio la recente deregulation degli agenti o l’abolizione incondizionata dei TPo – mentre dovrebbero concentrarsi sui problemi per risolverli seguendone l’evoluzione. Il tema – va precisato – non è una nostra esclusiva: la fronda sta crescendo esponenzialmente anche all’estero, dal momento che il lockdown è diventato la condizione di vita di tutti e che le squadre vengono decimate ogni giorno da contagi e infortuni.

«Siamo i burattini della Fifa e della Uefa» ha tuonato l’ex campione del mondo Toni Kroos a “Einfach mal Luppen”. Una riformulazione del calendario, ecco cosa serviva. Non era necessaria l’abolizione della Nations League, più sensata la riprogrammazione, visto che tre interruzioni da settembre a oggi hanno prodotto solo guai e polemiche. Comprendo l’irritazione di Ceferin e, in seconda battuta, quella di Gravina, che è il capo della federazione e quindi di Azzurra, sulla quale ha investito tempo, idee e denaro riuscendo a realizzare un fatturato record, a dispetto dei tanti gufi in servizio permanente. Tuttavia ci sono fasi in cui il calcio deve tornare ad essere uno sport da salvaguardare, non una vacca da mungere; situazioni in cui è più utile buttare all’aria tutto quello che si fa di solito per cercare soluzioni nuove che esprimano con la massima effi cacia il concetto di sopravvivenza.

L’Uefa e/o la Fifa non possono sempre dare ai presidenti di club, i loro fornitori unici, validi motivi per contestare l’attività delle nazionali. Anche perché senza i giocatori stipendiati dalle società, i mangiafuoco potrebbero organizzare solo la saga dei cappelletti in brodo. Da remoto. Fermo restando che certi atteggiamenti “politici” da negazionisti dell’Azzurro sono altrettanto deprecabili. Eppure non è lontana l’ultima festa nazionale – la conquista del Mondiale 2006 – della quale ci dicemmo orgogliosi ritirando fuori, come a Messico Settanta e Madrid Ottantadue, inni, bandiere e italianità. Da allora – a parte la quasi contemporanea Champions del Milan e il Triplete dell’Inter – praticamente solo una continua festa bianconera. Una bella parte, ma di parte. Senza sciocco trionfalismo, né disfattismo, prepariamoci almeno con lo spirito a Europa 2021.

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