Napoli, una finta sublime in carne e ossa

Ottocentottantaquattro milioni di euro vale il Liverpool, secondo i parametri di transfermarkt. Dieci milioni è stato pagato Kvaratskhelia. Tra queste due grandezze sta il 4-1 inflitto dal Napoli al Liverpool in una notte che sarà difficile dimenticare. Perché al netto del risultato prezioso per la qualificazione nel girone di Champions, è la qualità del gioco che, da queste parti, riempie gli spalti. E gli spalti del Maradona saranno d’ora in poi gremiti come ai tempi in cui, più di tre decenni fa, ogni domenica era un evento atteso, sofferto, sognato. 
 
È nata una stella. E chissà se è un caso che il numero che porta a spasso sulla schiena, il settantasette, nella simbologia della smorfia indichi il diavoletto. Simbolo di quella negatività che, com’è consueto ancora da queste parti, va intesa in senso più esteso e rovesciato, come fonte della creatività, virtù tutt’altro che lineare. Khvicha Kvaratskhelia è una finta sublime in carne e ossa. A cominciare dall’ingenuità adolescenziale con cui maschera, nei lineamenti del volto, la sua complessa intelligenza emotiva. Quella da cui nasce il suo dribbling mai scontato, divertito e caparbio, irriverente anche al cospetto di mostri sacri della difesa, come Van Dijk, o talenti un po’ snob, come Alexander-Arnold. Il georgiano non ha nei loro confronti alcun timore reverenziale, perché lui persegue con umiltà e tenacia un suo disegno interiore: stupire prima se stesso, poi i tifosi che lo arringano dalle curve e dalle tribune, e infine Spalletti che lo guida dall’area tecnica. Con pochi consigli, perché anche lui, che d’intelligenza emotiva ne ha da vendere, ha capito come si tiene tra le mani una stella. 

Complimenti a Giuntoli, il diesse che ha comprato la Ferrari al prezzo di una Panda, forse l’unico prezzo che il Napoli avrebbe potuto pagare in questa fase del suo ciclo. Nello spazio infinito che si apre tra ottocentottantaquattro milioni di euro e dieci milioni, c’è anche il senso di fare e gestire il calcio con l’intuito, la curiosità, la scommessa prudente che il calcio merita. Dopo gli anni dei grandi azzardi, questa è una lezione. 

Vorremmo restare sempre dentro una notte così. Tra i cori festanti che evocano un ritorno al futuro, senza il fantasma di Maradona. Con il privilegio di amarlo finalmente senza il retrogusto amaro della nostalgia, ma come un ricordo gioioso capace di rinnovarsi. Maradona aveva attorno a sé una squadra di talenti e di gregari, capaci di ricevere la luce della sua stella e farla brillare di più. La scommessa si rinnova nelle mani di Spalletti, che ha organizzato il suo cantiere con la cura meticolosa di un riparatore di orologi. Ci sono partite, come quella vinta ieri contro i blasonatissimi Reds, in cui il centrocampo azzurro ha il ritmo di un cronografo, in cui il tempo del cuore e quello degli occhi, il tempo della corsa e quello dell’intesa sono due lancette che si muovono all’unisono. Quando girano così, Lobotka, Zielinski e Anguissa – anche quest’ultimo acquistato al mercato dei saldi – fanno da soli l’orchestra. Quella che esalta un primo violino geniale. 

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