Napoli, un profumo inebriante

Poteva finire diversamente, perché il calcio è fatto per sorprendere, ma è finita come era più logico che finisse. Con la squadra più forte del campionato che se ne va, prendendosi a Torino l’ultimo passo per la consacrazione finale, che potrebbe avvenire già domenica prossima. Con meno smalto di qualche settimana fa, con molto sacrificio, con qualche rischio, con naturale dominio del gioco, il Napoli stende la Juve in un finale al cardiopalma. In cui commette l’unico azzardo di una gara finalmente prudente, scoprendosi al contropiede che Di Maria finalizza. Ma il fallo su Lobotka è netto, come netta, volontaria e premeditata è la manata di Gatti su Kvara nel primo tempo. È comprensibile che l’arbitro non la veda, è inaccettabile che il Var la ignori, evitando alla Juve un cartellino rosso che avrebbe avuto un peso determinante sull’esito della partita. 

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Napoli, il profumo dello scudetto

La lezione del triplo confronto con il Milan ha insegnato qualcosa. Anzitutto a Spalletti, che opportunamente lascia Zielinski in panchina e protegge la regia di Lobotka con Anguissa e Ndombele. Ma, di più, incoraggia Kvara a svariare su tutta la trequarti, da sinistra a destra, surrogando in tal modo l’assenza del polacco. È un Napoli meno irruento, meno brillante, ma più coperto contro una Juve incompiuta ma ancora piena di talento. È un Napoli meno presuntuoso nel pressing, consapevole che andare in quattro sull’avversario significa rischiare di scoprirsi. Ha capito che si può bloccare ogni via d’uscita alla scompaginata manovra juventina, senza esporsi dietro. Si può egemonizzare la gara con un possesso palla continuo, osando qualcosa di meno. La strategia ha ripreso il controllo della performance, anzi ne ha surrogato il naturale calo primaverile. Il traguardo adesso è lì. A una distanza così piccola al cospetto di una cavalcata straordinaria. Ma addirittura infinitesimale, se confrontata con la lunghezza dell’attesa. Il Napoli sogna lo scudetto da più di trent’anni, lo insegue in concreto da più di dieci, avendone avvertito il profumo più volte in queste ultime stagioni.  

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Memoria

C’è nella storia di ogni avventura sportiva un passato che fa da solo una memoria. Per il Napoli questa memoria è un archivio di desideri. Vale per la città, per la società e anche per la squadra. Che, è vero, è in gran parte rinnovata rispetto a quella del decennale ciclo che sta tra Hamsik e Insigne. Ma, come uno spirito del tempo che si tramanda tra le generazioni, la frustrazione di tanti traguardi sfiorati è per il Napoli una responsabilità e insieme un’energia. Sullo scudetto che gli azzurri stanno per appuntarsi al petto c’è una traccia di tutti quelli che, prima di Spalletti, Osimhen e Kvara, ci hanno provato senza riuscirci. La Juve è il solito intermittente motore che accelera e zoppica, in assenza di un centrocampo credibile. In cui la classe di Locatelli s’appanna tanto da apparire un falso, il talento di Miretti e Fagioli fa fatica a sbocciare, l’agonismo di Rabiot è energia anarchica. Al netto del clima societario non certo incoraggiante e degli incerti disciplinari, Allegri in due anni non è riuscito a stabilizzare un gioco che faccia da solo un’egemonia. Il ritorno delle milanesi e lo stop di Lazio e Juve fa questo finale incandescente. Domenica, con lo scudetto del Napoli potrebbe finire un campionato per iniziarne un altro. 

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