Napoli, Osiimhen il bomber a caccia di miti

NAPOLI – Il tempo ch’è passato non ne è volato via malinconicamente: e ora che i Miti sono lì, a modo loro irraggiungibili, c’è un modo per ricordarsene, uno per per avvicinarli e un altro, infine, per sfidarli o almeno per provarci. Quando Edinson Cavani arrivò a Napoli, Victor Osimhen aveva appena dodici anni, viveva quel tempo nelle atmosfere per lui disagevoli della sua Nigeria, e però sognava come tutti i bambini: el Matador, l’uomo dei sogni di un’epoca felice, s’avvicinò a Napoli prepotentemente, ne fece subito trentatré, ne rifece poi altri trentatré e prima di andarsene a Parigi, lasciando in eredità sessantaquattro milioni di euro, provvide a consegnare ancora trentotto gol come moneta sonante. Centoquattro reti in tre stagioni, alla media rispettabilissima e inavvicinabile d’un gol ogni 120′, come non sarebbe riuscito neanche al Pipita. Perché il giorno in cui Gonzalo Higuain mise piede al San Paolo e Osimhen aveva ancora quindici anni, un adolescente che a Lagos vendeva acqua minerale ai semafori e però immaginava un futuro esaltante, Cavani seppe resistere, con quella sua andatura quasi folle, ma crollò altro, per esempio il record di Nordahl, che Sua Maestà – il nuovo primatista – stracciò in una serata densa di magia, contro il Frosinone, che lo spinse tra i Fenomeni paranormali con quelle trentasei reti necessarie per oscurare una leggenda.

Da Gonzalo a Ciro

E il Pipita, ingordo come el Matador e forse anche di più, ne fece pure lui centoquattro in un triennio, al ritmo ragguardevole di uno ogni 120′. Nel momento in cui Dries Mertens scoprì di poter interpretare un’altra vita, non più abbandonato al proprio destino a sinistra, e neanche più infilato dentro un dannoso ballottaggio con Insigne, Victor Osimhen stava per fare le valigie per l’Europa, lo avrebbero portato al Wolfsburg per fargli conoscere il calcio: a Napoli, autunno del 2016, stava per nascere una stella, e un’altra cominciava a splendere anche in Nigeria. Mertens ne ha segnati 148, s’è sistemato sul trono del gol e l’ha reso persino inarrivabile, però si porta appresso, nel calcolo, il triennio da esterno che ne riduce l’impatto con la media di una rete ogni 159′. Osimhen s’è già lanciato al di là del Re, nonostante le difficoltà del biennio iniziale in cui gli è successo di tutto e persino di più (un infortunio ad una spalla, il Covid, una commozione cerebrale, una frattura al volto: gare saltate, trentasei, una esagerazione pure in questo) rovinandone la figura e pure le statistiche: però i 41 gol in settantuno partite rappresentano una cifra e disegnano già una tendenza, perché il nigeriano regala una perla ogni 134’.

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I mostri

Cavani, Higuain e Mertens sono i “ mostri ” dell’ultimo decennio napoletano, gli interpreti sontuosi d’un calcio che gli è appartenuto per davvero, che da loro è stato marchiato a fuoco, fino a imprimerlo nella storia: Osimhen ha sfruttato la scia di questa tendenza alla spettacolarizzazione, è divenuto il leader come i suoi predecessori di un’epoca che però spinge ad andare oltre ogni limite. Il minutaggio di Osimhen è nettamente inferiore a quello di Cavani e di Higuain, che hanno giocato il doppio rispetto al loro successore, e però nelle prospettive che vengono ispirate dalla naturalezza con cui il centravanti del Napoli si esibisce, c’è la possibilità di adagiarsi al loro fianco, dopo aver già superato Mertens. O di ridimensionarli, persino di “ cancellarli ” , segnando il giusto, quanto gli basterebbe per conquistare lo scudetto.


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