Mourinho il predestinato e Sarri l’integralista: la storia di un’inimicizia

Caratteri agli opposti, metodi di lavoro differenti, rapporti con la squadra e con la stampa ancora più diversi: Mau e Mou sono gli esempi di due diverse visioni del calcio

Furio Zara

18 marzo – Milano

Così uguali anche no, così diversi, eccome. Modelli umani contrapposti, che raccontano due diverse visioni del mondo-calcio e travalicano il mito che hanno costruito e gli viene attribuito. Maurizio Sarri, José Mourinho. Il Maestro di calcio, il Vincente. Mau e Mou. Uno traccia un solco: chi mi ama mi segua. L’altro indica un traguardo: io vi amo, quindi seguitemi. Si piacciono? No. Non si prendono, a pelle, proprio. Troppo lontani.

“Sarà che noi due siamo di un altro/ lontanissimo pianeta/ Ma il mondo da qui sembra soltanto/ una botola segreta”, questo è Renato Zero: sia Sarri che Mourinho pensano che – di quella botola segreta – hanno la chiave in tasca.

Il predestinato

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Mourinho si sente un predestinato, Sarri il destino se l’è cesellato un po’ alla volta. Sanno essere entrambi sprezzanti, se lo vogliono. Ruvidi, antipatici per posa, senza farsi tanti problemi se qualche collega li detesta. Freccette avvelenate volano da sempre, pure nelle ultime ore con le polemiche post-coppe. Sarri mugugna e bofonchia, Mourinho parla per slogan. E ogni volta è un titolo.

L’integralista

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Sarri è un integralista. Al Sansovino un suo giocatore raccontò che avevano provato addirittura 33 schemi su calcio di punizione. Lui con ironia rispose: “Ha esagerato: non sono 33, ma sono sicuramente più di 30”. Sarri è più convinto della forza del Gioco, anziché di sé stesso. La frase-cult di Mourinho è: “Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”. E’ una prospettiva diversa, certo. Sarri semina, ma non sempre raccoglie. Ha vinto uno scudetto con la Juventus, l’hanno cacciato un attimo dopo, quella è la porta, grazie e datti una mossa a fare la valigia. Ha vinto una Europa League con il Chelsea, bene bravo bis, ma poi era già altrove e il “Sarriball” è durato un attimo, non è che i tifosi di Stamford Bridge alzano lodi al cielo quando oggi ripensano a lui. Mourinho – prendiamo Roma ad esempio – non si è limitato a vincere una Conference League, ha fatto qualcosa di più. Ha dato identità e orgoglio al popolo giallorosso, ha creato appartenenza. Uno per tutti, tutti per lui. Mou lavora per alimentare la nostalgia di chi lascia.

La passione

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Una sola certezza li unisce: avrebbero fatto questo lavoro anche gratis. In entrambi brucia il fuoco sacro, alla fama ci sono arrivati in maniera diversa. Mourinho – famiglia benestante – da studente stagista che va a scuola dai migliori (Bobby Robson, cui faceva da interprete ai tempi del Barcellona); Sarri – figlio di un gruista dell’Italsider – da studente che per mantenere viva la passione lavora (in banca, consulente finanziario) e una sera – quando ha già quarant’anni – va a casa e annuncia alla moglie: “Mollo tutto, mi dedico al calcio”. È il 2001, quell’anno Mourinho prende la rincorsa con l’Uñiao de Leiriam club di medio cabotaggio portoghese cui José fa fare un salto di qualità. Quando vince, Sarri si limita a vincere. Come un lavoro ben fatto, pratica chiusa, passiamo ad altro. Quando vince, Mourinho stravince. È fatto così: o stravince, o straperde. Senza mezze misure. Mourinho ha bisogno di identificare un Nemico: la squadra avversaria, l’arbitro, il Potere, il Contropotere, chiunque. Sarri quel nemico – questa è la sensazione – ce l’ha dentro e combatte con lui.

La sfida

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Il derby li pone uno di fronte all’altro, ed è la quinta volta che succede. Bilancio a favore di Sarri: due vittorie a una, più un pareggio che segna l’inizio della contesa. Ottobre del 2018, a Stamford Bridge, Chelsea-Manchester United 2-2. Partita da petardi impazziti. 1-2 per Mourinho, poi dopo 5 minuti e 30” di recupero Barkley pareggia per il Chelsea. Boom. Scoppia la rissa, musi duri, tensione altissima. Il vice di Sarri – Marco Ianni – va a esultare “in front of” Mourinho, così, a mezzo metro gli urla in faccia la sua felicità. E no, Mou non la prende bene. Lo fermano gli steward. Sarri non ha visto nulla, se ne sta tornando negli spogliatoi. Nel sottopassaggio: Mau e Mou si chiariscono. Sarri convince Ianni ad andare a scusarsi nell’ufficio di Mourinho. Poi tre derby alla romana. Il primo (settembre 2021) lo vince la Lazio di Sarri: 3-2. Il secondo (marzo 2022) se lo aggiudica la Roma di José (1-0). Il terzo – quello dell’andata di questo campionato – va ancora alla Lazio: 1-0 (novembre 2022).

Il culto

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Mou vive per alimentare il culto di sé stesso e con lo sguardo indica le coppe in bacheca, Sarri sbandiera come una stella al merito l’idea del Gioco, lui che di trofei ne ha raccolti molti meno. L’arrocco ideologico di Sarri è anche il suo limite, così come l’inganno – comunicativo, tattico – è alla base della filosofia di Mou. Quando allenava nei dilettanti Sarri scriveva slogan su una lavagna appesa all’interno degli spogliatoi. La sua preferita era: “Non è grande chi non cade mai, ma chi cade e si rialza”. Nel mondo-spogliatoio di Mourinho i giocatori sono tutti “Brothers in arms”. E lui è il condottiero. Mourinho è l’unico allenatore al mondo che i soprannomi se li è dati da solo. Prima “Special One”, poi “Happy One”. Sarri di soprannomi non ne ha. Da giovane lo chiamavano il “Secco”, ma finisce lì. Però il gioco di Sarri è “Sarriball”, quello di Mourinho è “il bus parcheggiato davanti alla porta”.

Il metodo

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Le squadre di Josè pensano: Mourinho è uno di noi. Le squadre di Sarri pensano: Sarri è lui e noi siamo noi. Mourinho recita Mourinho. Il timido, il capopopolo, l’arrabbiato, lo scontroso, il finto umile, il polemico a prescindere. La sensazione che lascia è sempre quella: ha studiato meglio degli altri. José ha questa straordinaria capacità di ammantare di epica ogni cosa che lo riguarda, come se ci fosse un destino che appartiene a lui e soltanto a lui. Sarri è meno calcolatore, sbotta, inciampa nelle polemiche, le innesca. Sarri – quando allenava il Napoli – ricevette da Pep Guardiola parole dolcissime, che ne sottolineavano la qualità del lavoro. Guardiola, cioè il miglior nemico di Mourinho. Non potranno mai essere amici, chiaro. Ma in un mondo – come quello del calcio – che tende per naturale quieto vivere al compromesso, Sarri e Mourinho sono due voci fuori dal coro. Ciò li rende unici. Diversissimi, ma unici.

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