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Mou e Allegri, perché la bellezza senza risultati non ha futuro

Non c’è come sciropparsi commenti e commentatori di Roma-Juve, solo per restare all’ultima. Sottotraccia, ma neanche tanto, è un continuo schifare questo genere di partite, genere messo in piedi da gente troppo pratica come Allegri e Mourinho, fanatici del risultato, a tutti i costi, costi quel che costi. Ormai abbiamo anche i neologismi di ultima generazione, pronti per la Treccani: risultatisti i santoni del movimento, risultatismo il bieco movimento. In origine, in un’altra Italia, la dittatura del risultato rappresentava persino un valore.

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La grande antitesi

Cos’altro erano il catenaccio e il contropiede all’italiana se non la massima espressione del risultatismo? Chi altri era il Trap, se non l’indiscusso guru della combriccola? Era l’epoca in cui scrivere minimo sforzo e massimo risultato non provocava rossori e vergogne a nessuno. Anzi, uno si sentiva persino orgoglioso, come minimo il più scaltro di tutti. Cos’è allora questa caccia alle streghe di oggi, periodo storico in cui dare del risultatista a qualcuno nel salotto tv è l’ultimo passo prima della testata al setto nasale. Piace, è di tendenza, gratifica alla grande mettere di fronte la bellezza e il risultato, in netta antitesi, ovviamente lasciando sempre sottintendere che quelli giusti stanno dalla parte della bellezza. Poi succede che Gasperini, un totem della grande bellezza senza risultati (ammesso che l’Atalanta per tre anni di fila in Champions non sia un risultato), venga preso per il didietro più ancora dei risultatisti, com’è successo l’altra volta fuori San Siro, quando i tifosi si sono affiancati alla macchina e l’hanno umiliato con la solita frase, la sua etichetta, la sola che lo mandi davvero fuori di testa, «dove vai che non hai mai vinto un ciufolo», lui a lanciare una focaccia dal finestrino per ricambiare il complimento.

Il risultato è tutto

La verità è che pretendiamo tutto, la grande bellezza e il grande risultato. Altro che scegliere e stare da una parte e dall’altra. È semplicemente per questo che la crociata contro il risultatismo si presenta come perfetta crociata da farisei e da sepolcri imbiancati. È il momento di dirlo chiaro e tondo. Che adesso in tanti facciano gli schizzinosi e gli snob contro i risultatisti, come il cumenda Giangi quando parla degli operai a Portofino, suona veramente stucchevole. Guardiamoci in giro: viviamo tutti, dentro fino al collo, in un mondo risultatista. Televisione: puoi fare il programma più colto e più innovativo, ma se lo share è rachitico sei fuori (a meno che non intervenga il tuo sottosegretario di riferimento). Cinema: puoi fare il film più artistico e raffinato del mondo, ma se il botteghino collassa sparisci dalla circolazione. Giornali: puoi fare il giornale più ricco, pensato, divertente del mondo, ma se resta in edicola sei alla porta. Aziende: puoi portare qualsiasi ideona da Harvard, ma se il fatturato geme, sotto un altro. Scuola: puoi inventarti qualunque lezione affascinante, ma ai genitori proprio non importa un fico che il figlio ne esca come una bella persona, una persona migliore, contano il pezzo di carta e imparare un mestiere. Politica: puoi… no, questa non sta in piedi, la politica è l’unica comfort-zone, nessuno ti chiede risultati e tanto meno bellezza, basta respirare.

La bellezza schiava del risultato

E allora cosa stiamo a raccontarci, che gli Allegri e i Mourinho vanno lapidati perché guardano al risultato e il resto a seguire? La mattina ci alziamo tutti poeti, ma già sull’ascensore ci accorgiamo che ci saranno pranzo e cena solo centrando un risultato. Poi certo, c’è Spalletti. Grande bellezza e assieme risultati. È risultatista e bellista allo stesso tempo. La perfezione. Però, a dircela tutta sinceramente, sappiamo che questa esaltazione non starebbe in piedi senza il risultato. Un Napoli bellissimo, ma senza scudetto, l’abbiamo già visto con Sarri: non è bastato a nessuno. Anche la bellezza deve farsene una ragione. È schiava come noi, senza risultati non ha futuro.


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