Moscardelli si racconta: “Vorrei fare il commentatore e il lunedì gioco con Totti”

2 febbraio 2013. Zac! Un ciuffo caduto per terra dopo un fioretto. Chievo addio, Bologna eccomi! Quel giorno Davide Moscardelli ha perso la sua barba per l’ultima volta, dopo aver ritrovato Stefano Pioli, suo mister già nella città di Romeo e Giulietta e prima a Piacenza con Radja Nainggolan. Emilia-Romagna terra di svolte per Moscardelli e di incroci forse irripetibili, come quello tra Rimini e Juventus nell’estate 2006 che ha segnato un prima e un po’ dopo nella storia di entrambe le squadre. Partenze e ripartenze in quella provincia dove il calcio è ancora un atto di amore: così è stato per Davide anche a Lecce, ad Arezzo e a Pisa, le piazze dove si è divertito e ha dato il suo arrivederci al pallone. Oggi “Moscagol” è tornato nella sua Roma, gioca insieme a Francesco Totti e pensa al futuro, magari dietro ad un microfono.

Davide, che momento sta vivendo? Le manca giocare?

Mi manca, ma è una cosa normale. Ho scelto di smettere, era arrivata l’età giusta per dire basta. Ci sono passati tutti, adesso è toccato a me. Andiamo avanti.

Che cosa le piacerebbe fare?

Vorrei restare in questo ambiente. Non mi vedo allenatore. Mi piace parlare di pallone. Vorrei fare qualche trasmissione, magari specializzarmi nel commento tecnico come seconda voce. Parlare di calcio mi viene naturale quando guardo le partite.

Com’è nata la sua passione per il calcio? C’erano sportivi nella sua famiglia?

Ho un fratello maggiorenne, ha tre anni in più di me. Era molto bravo e gli andavo appresso. Sono nato in Belgio, ma ci ho vissuto solo per nove mesi. Mi sento italiano e romano a tutti gli effetti. Mio padre era nell’aeronautica militare: doveva portare avanti una missione di tre anni in Belgio e ha voluto con sé la famiglia. Poco dopo la mia nascita siamo rientrati in Italia.

Com’è il suo rapporto con Roma?

Per ogni persona la propria città è sempre meravigliosa. Quando si tratta della Capitale, di una delle città più belle del mondo, l’attaccamento è ancora più marcato. Ho un ottimo rapporto con Roma. Sono stato lontano per tanti anni. Quando facevo il calciatore era un piacere tornarci. Le ultime città in cui sono stato nella carriera erano più piccole, a misura d’uomo. Però la bellezza di Roma nasconde tutto il resto.

Ha mai sognato di vestire la maglia giallorossa?

Da bambino sognavo di giocare in Serie A, riuscirci con la mia squadra del cuore sarebbe stato il massimo. Non ci sono riuscito, ma sono contentissimo della carriera che ho fatto. Nelle serie minori ho conosciuto tanti giocatori che avevano grandi qualità, nonostante questo però non sono arrivati in alto. Io ce l’ho fatta ed è stato un privilegio.

Lei aveva un mito da ragazzo?

Tutti i giocatori della Roma. Mi piaceva Rudi Völler, ricordo ancora il coro che i tifosi gli dedicavano. Poi ci sono stati Giannini, Totti e Batistuta.

Qual è stato il momento chiave della sua carriera prima di arrivare in Serie A?

Sono partito forte nelle prime stagioni da professionista: al primo anno in C2 avevo 22 anni, sono andato in B a 23. Ho fatto benissimo con la Triestina nel girone d’andata, meno in quello di ritorno. Mi sono rimesso in gioco. Poi c’è stato lo snodo col Piacenza di Pioli che ho ritrovato al Chievo in A a trent’anni.

Che cosa ricorda di Rimini-Juve del 2006?

Al nostro ingresso in campo lo stadio era tutto pieno. Quel giorno ho rosicato tantissimo perché partivo dalla panchina. Era una partita attesissima. Ero arrabbiato e dispiaciuto perché volevo giocare. Molti miei amici di Roma volevano vedere la prima partita della Juve in B. Abbiamo strappato un bel pari.

Com’erano gli juventini quel pomeriggio?

C’erano grandi campioni. Quel giorno erano arrabbiati, però dovevano iniziare a vincere per tornare in A prima possibile. Pensavano questo quel giorno. Quel Rimini però era una bella squadra. C’era Matri: era giovane, facevamo staffetta. Ricordo Handanovic. Quell’anno abbiamo disputato un bel campionato.

Lei è stato allenato da Pioli al Piacenza, al Chievo e al Bologna: vi sentite ancora?

Abbiamo un rapporto di stima reciproca. Pioli è l’allenatore con cui ho lavorato di più, ho assistito alla sua crescita. Era all’inizio della sua carriera, anno dopo anno si è migliorato sempre di più. Ha cambiato idea su alcune cose per vincere nuove sfide. Oggi è arrivato dove merita.

Sotto quale aspetto il mister è cresciuto di più?

Su quello tecnico-tattico. Il mister è salito di livello: lo confermano i suoi ex giocatori. Pioli ha costruito un bel feeling soprattutto coi calciatori che giocano di meno. Il gruppo diventa più forte quando tutti si sentono parte della squadra. I risultati arrivano quando c’è unione e i panchinari danno il massimo.

Che tipo era Nainggolan in quel Piacenza?

Era giovane, ma già molto forte per la sua età. Nemmeno lui aveva capito quanto fosse già pronto. Radja poi è migliorato tantissimo. Era fin troppo spensierato forse. Aveva grande personalità. Nainggolan ha giocato quasi tutte le partite, ne ha saltate davvero poche. C’era già qualcosa di grande in lui.

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