Mondiali al via: fateceli vivere in allegria (senza dimenticare i problemi)

Tanti elementi avvelenano il clima di questa competizione che dovrebbe essere libera e felice. Il calcio non è evasione ma gioia, creatività e gioco. E può regalarci una piccola ma intensa felicità

Walter Veltroni

20 novembre – Milano

Diciamoci la verità: è molto difficile vivere con il cuore leggero, come si dovrebbe fare, i campionati del Mondo di calcio che iniziano oggi. Eduardo Galeano, grande scrittore uruguaiano, mi disse una volta che lui scandiva il tempo che gli restava da vivere misurandolo con quante edizioni della World Cup avrebbe potuto vedere. Aveva ragione, in fondo. La saga quadriennale del football è una festa totale che si celebra in contemporanea tra gli abitanti della Mongolia e quelli delle isole Far Oer. Ovunque, sull’infinito pianeta, c’è qualcuno che appende il cuore a un cross, a un rigore, a una parata.

Sono importanti, non meno delle Olimpiadi. Per questo la Fifa dovrebbe essere tanto gentile, d’ora in poi, da farceli vivere in allegria, con leggerezza, senza un peso nel cuore anche quando la dimensione ludica dell’esistenza potrebbe avere il prevalere sulla gravitas del vivere quotidiano. Non fu così in Argentina nel ’78, quando la coppa fu levata in cielo da Daniel Passarella mentre i suoi coetanei venivano torturati poco lontano. Ora questi mondiali ci appaiono come una pura, tristemente coerente, prosecuzione dello spirito del tempo. In questo senso assomigliano a questa stagione della nostra vita comune. Ma alle sue brutture, non alle sue virtù.

La quantità infinita – e non conosciuta, sembra migliaia – di immigrati morti sul lavoro per costruire le infrastrutture, le violazioni delle regole ambientali denunciate dal Guardian e da varie organizzazioni sociali, la vischiosità, per usare un eufemismo, delle procedure che hanno portato all’assegnazione di questa edizione: tutto assomiglia troppo al peggio del mondo.

E poi, in primo luogo, i diritti umani. Un ambasciatore qatariota del Mondiale ha recentemente definito l’omosessualità “un danno mentale”. I giocatori più sensibili, Neuer lo ha già annunciato, evidenzieranno il loro dissenso con i colori arcobaleno indossati al braccio.

C’è dunque molto, troppo, che avvelena il clima di questa magnifica competizione, che non la rende pienamente allegra, libera, trasparente come dovrebbe essere.

Hanno un significato le dichiarazioni di ieri del presidente Infantino: “Mi sento Qatari, africano, arabo, migrante, gay. Sono un figlio di lavoratori migranti. I miei genitori hanno lavorato molto duramente e in difficili condizioni. Ricordo come gli immigrati venivano trattati alle frontiere, quando volevano le cure mediche”. E per invitare a non fare facili lezioni ha aggiunto: “Noi in Europa chiudiamo le frontiere, creiamo stranieri illegali: per cercare di venire in Europa sono morte 26 mila persone”.

Noi italiani per la seconda volta manchiamo l’appuntamento. Dispiace per i ragazzi di questo Paese, già provati dal Covid, che sono cresciuti senza vivere l’emozione di questa magnifica competizione, senza il gusto delle notizie dal ritiro, del seguire i bollettini medici degli infortunati, senza poter immaginare la propria formazione ideale per ogni partita. Le vittorie del 1982 e 2006 sono state una occasione di incredibile gioia collettiva, di festa totale. Il calcio sa regalare felicità. Piccola, fuggevole ma intensa e indimenticabile.

A questo Mondiale in Qatar non siamo arrivati per poco. Diciamoci, per celia e consolazione, che quando Jorginho – lo possino! – ha sbagliato l’ennesimo rigore, lo ha fatto perché consapevole che sarebbero stati mondiali invernali, in tutti i sensi.

Comunque è davvero assurdo che le nazionali che hanno vinto i tornei continentali non siano di diritto alla coppa del Mondo. Lo dico per il futuro…

Oggi si comincia. Si può vivere lo stesso un grande evento, da spettatori e tifosi, senza rimuovere queste consapevolezze. A mettere colore ci penseranno gli scatti di Mbappé, l’intelligenza di De Bruyne, la fantasia di Neymar, Messi, Ronaldo.

Il calcio non come evasione, ma come creatività, gioia, gioco. E libertà.

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