Milan, un piano strategico fallimentare

Ci sono due immagini simboliche che fotografano lo schianto del Milan al culmine della inquietante prova di Parma. La prima: Ibra inquadrato in tribuna sconsolato con gli occhi chiusi e le mani sul volto, già disperato. La seconda: Paulo Fonseca ritto davanti alla panchina con le mani sul fianco, impotente e incapace di raddrizzare la navigazione del suo Milan finito subito sugli scogli di Parma. Mai così falsa la partenza in campionato, ultimo precedente ravvicinato nel 2011, mai sentita una chiosa di un rivale, Cancellieri, autore del 2 a 1, offrire il senso calcistico della sfida («Ci siamo divertiti e penso si sia visto») con una frase che sa di umiliazione per il Milan.

Ibra e Fonseca sono i due referenti a cui rivolgere il quesito fondamentale: ma cosa avete combinato? Il mercato, sulla carta, non può essere così misero come i primi due risultati certificano. Allora è a Fonseca che bisogna rivolgersi per chiedere conto non di parole vaghe, non di spiegazioni fumose, ma di risposte convincenti. Perché la sconfitta di ieri è innanzitutto meritatissima. Ed è figlia di un piano strategico fallimentare. Prendere gol al primo contropiede, dopo nemmeno 2 minuti, è il segnale pubblico e solenne di una ridotta concentrazione e attenzione ma anche di una disposizione tattica suicida. E così per tutto il primo tempo quando il Parma è andato al tiro davanti a Maignan una, due, tre, quattro volte.

E dire che la presenza di Pavlovic, tra i più efficaci anche in fase offensiva, sembra la scelta giusta e indispensabile per ridare cemento a una trincea di burro. Se nonostante quel gigante e qualche provvidenziale parata di Maignan, il fatturato è così negativo, c’è una sola spiegazione: non funziona niente in questo Milan. Né la feroce attenzione che dovrebbe avere, né l’organizzazione difensiva e ancor meno quel mandare i due terzini all’assalto scoprendo puntualmente i due binari che sono stati il terreno di conquista del Parma.

Allora è bene prendere subito atto della realtà e correre ai ripari. Come? O Ibra e il management rossonero sono convinti d’aver fatto la scelta giusta nello scegliere il portoghese come successore di Pioli, oppure è bene prepararsi a uno scenario altrettanto rivoluzionario e cioè un cambio di guida tecnica. C’è un altro sospetto, psicologico forse più che calcistico, che viene a galla osservando la reazione dei rossoneri e in particolare dei più decisivi, come Leao, Theo, Tomori: è come se non fossero convinti di quel che fanno. La conferma nella frase di Fonseca a fine gara: «Mi assumo la responsabilità ma mi sembra chiaro che ci sia un problema collettivo di atteggiamento difensivo e di aggressività».


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