Milan, serve un altro Ibrahimovic. Terzic? È un azzardo

MILANO – Nessuno vuole insegnare il calcio a Zlatan Ibrahimovic ma è bene che Zlatan Ibrahimovic impari in fretta a uscire dalla sagoma di popolare calciatore per entrare, grazie a una comunicazione adeguata, nel nuovo ruolo di numero uno dell’area tecnica del Milan che si è ritagliato martedì notte davanti ai microfoni di Sky sport. La sua “sparata”, in parte rivolta a Boban, in parte indirizzata a qualche “gattino” della carta stampata, gli ha di sicuro procurato un bel numero di censure pubbliche e private moltiplicate inevitabilmente dalla serata disastrosa del suo Milan. Chi rappresenta il club davanti alle telecamere deve abbandonare la cifra da influencer a caccia di clic sui social e parlare con rispetto, non solo degli interlocutori ma proprio della storia del club rappresentato. Nessuno vuole insegnare il calcio a Zlatan Ibrahimovic ma forse vale la pena, alla vigilia di decisioni clamorose, ricordare le esperienze passate vissute dal Milan per cogliere quali sono gli errori eventuali da non ripetere. A giugno scorso, quando si presentò da solo sulla pedana di Milanello (e chi non capì allora quale sarebbe stato il ruolo esercitato dallo svedese lo fece solo perché allergico al personaggio), Ibra spiegò i motivi che suggerirono di puntare su Fonseca allenatore e non invece su un manager alla Antonio Conte contribuendo così a creare un clima di diffuso scetticismo. Senza condividere quei criteri, molti di noi ne presero nota sicuri che prima o poi, molto più prima a giudicare dai recenti eventi, sarebbe giunto il tempo della verifica. 

Fonseca, tempo scaduto

Adesso che il tempo di Fonseca sembra già irrimediabilmente scaduto, la questione si ripropone per una serie di altri motivi. Martedì sera a San Siro, non segnalato forse perché abilmente nascosto tra il pubblico pagante (a proposito: i 59mila di San Siro, primo esaurito mancato di Champions, è un altro segnale pericoloso di disaffezione), si è presentato Edin Terzic, già tecnico del Borussia Dortmund finalista di Champions League con il Real Madrid, non proprio l’ultimo della lista. Quel che l’esperienza insegna è che i cambi in corso, a poche settimane dal via della stagione, devono tenere conto di alcune dinamiche. La principale: conoscenza, approfondita, del calcio italiano e delle sue “specificità”. Poi la padronanza dell’italiano così da rendere immediato ed efficace il dialogo con lo spogliatoio di Milanello che è già una pericolosa Babele di lingue straniere e dove ci sono stranieri che ancora non lo masticano. Infine la necessità di non stravolgere subito il sistema di gioco per intervenire col tempo, producendo piccoli cambiamenti quotidiani e puntando alla soluzione del problema numero uno del Milan di ieri e di oggi, e cioè l’organizzazione difensiva, specie sui calci piazzati (2 dei gol presi dal Liverpool sono nati da calcio d’angolo e scanditi con marcature discutibili tipo Reijnders su Van Dijk). 

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