Milan, Niang: “Se fosse andata male con il calcio avrei provato a fare il comico”

“Se fosse andata male con il calcio avrei provato a fare il comico”.  E’ un M’Baye Niang inedito quello che si racconta nelle pagine de La Gazzetta dello sport. Dalle “Niangate”, alla passione per il rap e la fisica, fino alla vocazione per le battute: l’attaccante del Milan si racconta a 360 gradi.

Tanti i “colpi di testa” per M’Baye, purtroppo non in campo: “Tante, non passava mese senza che ne facessi una. Ma la peggiore è stata l’incidente in macchina, a febbraio: quella che mi ha fatto dire basta. Tuffo in piscina da un balcone? Ma lì per lì quella per me non era una mattata: l’ho capito dopo. Una inedita? Non esiste e sa perché? C’è chi ne fa un sacco e non se ne sa mai nulla, invece le mie si sanno tutte: o sono sfigato, o le nascondo male. Anzi, invece di nasconderle pubblico un video… Ma “basta così” l’ho promesso a me stesso. E se l’ho fatto è perché so di poter mantenere”. I sogni di Niang? “Vincere il Pallone d’Oro, vincere la Champions e la nazionale. Ma quella sarebbe una conseguenza. Ci sarei già se non fossi scappato dal ritiro dell’Under 21 per andare in discoteca: ce l’avevo lì, a un passo. Ora credo di aver pagato il conto: gioco, dunque spero che Deschamps mi chiamerà. Abbiamo parlato, so che mi segue, aspetta di capire se davvero sono cambiato. Di sicuro non ho mai pensato al Senegal, forse si disse perché non mi chiamava la Francia: ma io mi sento francese, la mia nazionale è quella”.

Per Niang Hellas Verona e Inter rappresentano momenti indimenticabili: “Il gol contro il Verona me lo ricordo: a porta vuota, dopo contropiede di Iago Falque. Più importante che emozionante: a quasi due anni e mezzo dal debutto in A in campionato dovevo ancora segnare. Il più emozionante però è quello nel derby dell’anno scorso: come un’esplosione, sentivo che era tutto troppo. E ho lasciato uscire tutto”. Il numero 11 dei rossoneri ribadisce la sua preferenza per il calcio inglese: “La Premier poteva essere e un giorno spero sarà: giocare lì è un mio sogno, il calcio giusto per il mio stile di gioco. Poteva essere due volte: la prima quando scelsi il Milan, anche se il Caen aveva già accettato le offerte di Arsenal e Everton. La seconda a gennaio, due-tre giorni prima del derby. Mi chiama il mio procuratore: ‘Il Leicester ha fatto un’offerta al Milan’. ‘E loro?’. ‘Per loro non ti muovi’. Anche per Mihajlovic: ‘Stai qui e fai pure gol nel derby’. Rimasi, e senza rimpianti. Anche dopo il titolo del Leicester, tanto il rischio era di fare la riserva di Vardy: lì sono pieni di soldi, ti pagano 20 milioni e poi magari non ti fanno giocare”.

Un amico “special”, Pogba: “Io e lui insieme in nazionale abbiamo giocato solo un barrage per l’Euro Under 19, contro la Svezia, e abbiamo pure perso. Però ci conoscevamo da un sacco: lui a Le Havre, io a Caen, a 13 anni ci sfidavamo nei campionati giovanili. Certo che ci sentiamo ancora, ma di calcio parliamo poco. Ultimamente mi dice che è dura, ma che sente la fiducia di Mourinho. E io gli dico di non farsi distrarre dalle critiche, è stato pagato tanto e ci si aspetta tanto da lui: un gol da 30 metri e varrà di nuovo 100 milioni”. Il padre calcistico? Risposta semplice: “Come un padre può essere solo Galliani. Ricordo a memoria le sue prime parole: ‘Sono venuto a Caen per tornare a Milano con te, e stasera torniamo insieme’. Con un volo privato: per forza non ci ho dormito la notte. Galliani è come Florentino Perez, chi non lo conosce? Beh, era lì per me e io avevo la valigia già pronta… Poi è arrivato il tempo dei tanti amici. ‘Che bello’, dicevo, ma volevano il mio male: sapevano che era dietro l’angolo e però mica mi dicevano ‘M’Baye, questo no’. Galliani sì, senza urlare: ‘M’Baye, nel Milan non hai il diritto di sbagliare. Sei giovane, ma non puoi fare le cose che fanno quelli della tua età’. Un Milan senza Galliani? Faccio fatico a immaginarlo: nel caso, mi mancherà molto”.

Niang aveva già un’alternativa per il futuro in caso di flop con il calcio: “Il comico: ridono tutti alle mie battute. Per un po’ l’ho pensato davvero: ‘Se fallisco nel calcio, magari di mestiere faccio il comico’. Mica deliravo: qualunque battuta facessi ridevano tutti, e in verità a casa o a Milanello ridono anche adesso. Ma quando sono in ritiro faccio anche cose più serie, tipo scrivere testi per canzoni rap. In realtà lo facevo: adesso è un po’ che non mi ci metto più, forse perché prima di una partita non mi annoio come una volta, però li ho tutti conservati sull’ipad. Una canzone per Emilie? No, sarei spacciato. Il giorno che la scriverò vorrà dire che ho già le mani legate e allora a quel punto la sposerò: dunque mi pare molto presto per farlo”. Scuola? All’attaccante franco-senegalese piaceva solo fisica… “Almeno una doveva piacermi, no? Nelle altre ore facevo solo casino, non studiavo, un anno sono stato anche bocciato. Ma ha ragione lei, c’è la magagna: fisica mi piaceva perché mi piaceva la professoressa. Madame Caroline Garcia: troppo bella. Mi faceva venire voglia di stare attento, di applicarmi, addirittura di studiare: se avessi avuto lei in tutte le materie, forse oggi non giocherei a calcio. Rimettermi sui libri? Solo per migliorare l’inglese. No, non per giocare in Premier: lì ormai ci sono solo allenatori italiani”.

Un viaggio a Dakar e la svolta: “Io mi sento parigino al 100%, però… Solo quando sono andato a Dakar, a vedere dove sono nati papà Omar e mamma Aisha, ho capito la fortuna che ho oggi. Là sono quasi tutti poveri e quasi tutti sognano di diventare calciatori: stare lì una settimana mi ha dato ancora più forza per riuscire nel sogno che ho iniziato a fare a Les Mureaux, dove vivono i miei e dove io ho vissuto fino a 13 anni. Da ragazzino a Parigi andavo solo per Disneyland e la Tour Eiffel. Adesso molto di più: è la mia città, la città dove credo vivrò quando smetterò di giocare”. La prima Niangata? A Caen, ma ha anche salvato la squadra: “Avevo 16 anni, giocavo nelle giovanili: il Caen rischiava la Ligue 2 e ai compagni dicevo ‘Se vogliono salvarsi, devono chiamarmi’. Poi scrissi una lettera a Dumas, l’allenatore, e ce l’ha ancora: ‘Se volete salvarvi, mi convochi’. Mi convocò un lunedì mattina: ‘Niente scuola, vieni in prima squadra’. Feci gol alla terza partita, ci salvammo alla penultima, ma non mi bastò per salvarmi dai suoi controlli. Andavo ad allenarmi guidando senza patente e arrivò a mandarmi la polizia a casa: mi seguirono con le sirene accese, mi caricarono in macchina, finsero di portarmi in caserma. E io per un po’ smisi di fare il matto”.

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