Milan: Leao, Theo Hernandez e Pioli anatomia di un'impresa

Non doveva finire così. Non nella mente di chi sa tutto in anticipo. Ma, per citare Guerre Stellari, soltanto un Sith vive di assoluti. Stefano Pioli è un Jedi, macinatore di dubbi e coltivatore diretto di saggi istinti calcistici. Simone Inzaghi non è un Sith: gli mancano l’egocentrismo cosmico e la ferocia vorace. Però aveva un grande potere, in questa stagione. Ha vinto il Jedi. Ha rifiutato gli assoluti, si è guardato intorno, ha visto la strada. E l’ha imboccata con determinazione sorprendente.

Milan, festa scudetto col bus scoperto per le vie della città

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L’hanno aiutato la buona sorte, qualche impiastro arbitrale – perché no? in questa stagione ne hanno combinati tanti e saporiti, e in ogni caso nessuno è al sicuro dall’esserne involontariamente agevolato – e, a un certo punto, il colpo di fortuna di essersi trovato in una posizione più elevata. Esattamente come Obi-Wan nel duello con l’ex allievo Anakin. Quando l’Inter ha offerto con grazia al Bologna la partita che non avrebbe mai voluto recuperare, il Milan non ha dovuto fare altro che vincere, vincere e vincere fino in fondo. Può darsi che se Inzaghi avesse potuto disputare quella gara a tempo debito, tanto sarebbe bastato a cambiare l’epilogo. Non è accaduto. Inutile starci a pensare.

Milan, festa Scudetto nella notte: Pioli e Ibrahimovic show

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Milan, festa Scudetto nella notte: Pioli e Ibrahimovic show

La storia di qualsiasi campionato è composta da una logica portante e da episodi che la deformano. Gli episodi non spiegano, la logica almeno ci prova. Il successo di Pioli, misterioso di fronte a una rosa che vedeva i Calabria, i Saelemaekers, i Bennacer, i Messias e via elencando opporsi ai Dumfries, ai Perisic, ai Barella, ai Brozovic, diventa quasi (quasi) inevitabile se scendiamo dal livello strategico di costruzione della squadra a quello tattico che penetra nelle partite e le invade. Il Milan ha trovato tre o quattro appigli e ci si è aggrappato fino ad arrivare in cima. Partendo da Mike Maignan, le cui radici haitiane e la cui velocità da colibrì riportano alla mente Henry Françillon, che diede il malvenuto all’Italia nel Mondiale del 1974. Puro divertissement, perché subito dopo essere sorto Françillon si esaurì. Nel momento di citare un nome dopo la vittoria, l’allenatore ha pronunciato quello di Maignan. Doveva essere la toppa di Donnarumma, è stato il cancello davanti alla porta del Milan.

Ibra in piedi sul pullman, Castillejo riprende tutto!

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Ibra in piedi sul pullman, Castillejo riprende tutto!

Ha quasi trovato il materiale per strada, Pioli. Pierre Kalulu, Fikayo Tomori. Però non si è scomposto. Anzi, ne ha approfittato per rimettere a nuovo la difesa. Perso Kjaer senza colpa, ridimensionato il capitano Romagnoli senza rimorsi, aggressività alzata a fine corsa, riconquista del pallone immediatamente fruibile. E alla fine 31 gol subiti, al meglio del campionato quanto il Napoli. Siamo già un pezzo di cammino avanti. Davanti a quei due si è materializzato Sandro Tonali. Costruttore di gioco, in teoria e pure in pratica. Per estensione, tuttocampista in grado di scalare sulle fasce e di inserirsi in area. Solo due partite saltate, una per squalifica, cinque gol e il talento luminoso che si attendeva. A un certo punto si è perso Ibrahimovic, tra dolori e sindromi dell’età. Pioli, semplicemente, lo ha messo a fare il motivatore. Tu parla, noi continuiamo a giocare. Aveva Giroud e Rebic, non la stessa cosa. Invece di rimpianti, il tecnico ha trovato soluzioni. Con Ibra, al quale va concessa la soddisfazione di gestire gli spazi, la squadra si trovava spesso con trenta metri di vuoto davanti. Senza Ibra, ci sono stati più equilibrio e una copertura migliore dell’attacco.

Tutto questo non sarebbe bastato, probabilmente. Ma a sinistra si è lanciato, in tutto il suo splendore, Rafael Leão. Aggiungendosi a Theo Hernandez. La cavalleria pesante ha spazzato via ogni resistenza. Il terzino che oblitera la fascia e rovescia il fronte, il fantasista che se gli gira diventa l’incarnazione dell’immarcabilità. Gli gira sempre più spesso. Non fa più differenze tra i micini stanchi del Sassuolo e i lupi dell’Atalanta. Una catena così da sola garantisce il vantaggio tecnico e tattico necessario a mettere in forse ogni partita. Ieri, oggi e nel futuro italiano e di Champions, se a nessuno verrà l’idea di smontarla. Pioli si è appoggiato lì. Ha sistemato il resto. E si è goduto lo spettacolo. Anche noi.

Milan, Leao e Tomori scatenati sul pullman

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