Mihajlovic: “Sono un uomo migliore dopo la malattia. La guerra? Una volta Stimac mi disse…”

L’autobiografia in uscita, Sinisa Mihajlovic si racconta: dalla malattia alla guerra nell’ex Jugoslavia, ma anche Arkan e il razzismo.

Sinisa Mihajlovic, in una lunga intervista al Corriere della Sera, si è raccontato a 360 gradi parlando, in maniera approfondita, della terribile malattia che lo ha colpito. 

“Ammalarsi non è una colpa, succede e basta. La verità è che non sono un eroe e neppure Superman. Parlavo così perché avevo paura. Chi non ce la fa, non è un perdente. Non è una sconfitta, è una maledetta malattia. Adesso mi godo ogni momento, prima non lo facevo e davo tutto per scontato. La malattia mi ha reso un uomo migliore. La vita è piena di sorprese. L’ultima? 25 agosto 2019, per la prima di campionato a Verona implorai i medici. Pesavo 75 chili, ero immunodepresso e rischiavo di cadere per terra davanti a tutti. Ma volevo esserci e dare un messaggio: quando mi sono rivisto davanti alla tv non mi riconoscevo, ma non ci si deve vergognare della malattia. Così ho cercato di far capire a tutte le persone del mio stato di non abbattersi, di provare a vivere una vita normale. Fossero stati anche i nostri ultimi momenti”.

Sul razzismo racconta un aneddoto: “C’è una cosa che non rifarei. Ottobre 2000, Lazio-Arsenal di Champions League. Da quando gioco a calcio ho dato e preso sputi e gomitate e insulti. Succede anche con Vieira. Gli dico nero di m… Tre giornate di squalifica. Sbagliai, e tanto. Lui però mi aveva chiamato zingaro di m… per tutta la partita. Per lui l’insulto era zingaro, per me era m… Nei confronti di noi serbi, il razzismo non esiste…”.

Dall’amicizia con Arkan alla Guerra nell’ex Jugoslavia

“Quando io giocavo nel Vojvodina, al termine di una partita combattuta l’avevo insultato non sapendo chi fosse. Quando mi ingaggiano alla Stella Rossa, mi convoca nella sua villa. Pensavo mi volesse ammazzare. Invece fu gentile, affabile. “Qualsiasi cosa ti serva, Sinisa, sai che puoi venire da me. Ti lascio il mio telefono”. Nei miei anni a Belgrado l’ho frequentato per circa 200 sere all’anno […] diventammo davvero amici. Quando morì, pubblicai il famoso necrologio che mi ha attirato tante critiche per il mio amico Zeljko, non per il comandante Arkan, capo delle Tigri. Non condividerò mai quel che ha fatto, e ha fatto cose orrende. Ma non posso rinnegare un rapporto che fa parte della mia vita, di quel che sono stato. Altrimenti sarei un ipocrita”.

E sulla guerra nell’ex Jugoslavia, Mihajlovic conclude: “Finale di Coppa di Jugoslavia 1990. Perdiamo contro l’Hajduk Spalato, gol di Boksic. Prima della partita, nel tunnel che porta al campo, Igor Stimac, croato, mio compagno di stanza nella nazionale giovanile mi dice: “Prego Dio che i nostri uccidano la tua famiglia a Borovo”, che è il paese dei miei genitori”. (fonte CORRIERE.IT)

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