Marchetti: “Voglio giocare fino a 40 anni! Vi racconto Pioli e Inzaghi…”

Uno spirito da attaccante, due mani da portiere, un carattere forte che non ha paura, nemmeno quando il vento soffia forte e tocca remare controcorrente. Oggi Federico Marchetti ha 39 anni e sogna un’ultima avventura coi guantoni tra i pali

Simone Lo Giudice

2 settembre

Cagliari al Max, il Mondiale 2010, Pioli e Inzaghi

Non la meta, ma il percorso. Filosofia di vita di Federico Marchetti da Cassola, un paese in provincia di Vicenza nel profondo Veneto, terra di sogni inseguiti con passione e senza paura. Un giorno suo fratello maggiore ha avuto un’intuizione, l’ha condivisa ed è cominciata per tutti un’altra storia. Il portiere classe 1983, che ha iniziato da attaccante, dei bomber conserva la fame e la voglia di arrivare. Marchetti si è fatto le ossa in provincia nelle serie minori e lo sottolinea: lì ha costruito quel bagaglio di esperienze che gli ha permesso di non tremare quando, anni dopo, la posta in palio si è fatta decisamente più pesante. Il percorso lo ha portato fino a Roma, dove ha lasciato il cuore e messo radici. Il Mondiale 2010 resta comunque indimenticabile, come quel derby in finale di Coppa Italia di tre anni dopo. Marchetti vuole giocare ancora. In futuro gli piacerebbe seguire le orme dei suoi maestri: Massimiliano Allegri, Stefano Pioli e Simone Inzaghi su tutti.

Federico, che cosa la spinge a giocare ancora?

Vorrei fare un ultimo anno. Mi ero prefissato l’obiettivo di smettere a quarant’anni. Sarebbe gratificante chiudere così. Finora non sono arrivate proposte interessanti, a parte qualcosa dall’estero. Ho famiglia, un figlio di 11 mesi e vorrei restare in Italia. Mi sto allenando: per un periodo l’ho fatto al Trastevere, poi con un preparatore personale. Sto aspettando.

Le piacerebbe chiudere in Serie A?

Idealmente sì. Negli ultimi anni al Genoa ho ricoperto il ruolo di secondo, so che lo spazio è questo. Mi sono sempre adattato.

Lei però non è sempre stato portiere…

All’inizio facevo l’attaccante. Mio fratello maggiore mi ha messo tra i pali: ha intuito le mie attitudini e l’ha detto al mio allenatore. Un giorno mancavano i due portieri, ho preso i guantoni e non me li sono più tolti. La mia carriera è cominciata un po’ per caso.

C’erano altri sportivi nella vostra famiglia?

Io e mio fratello siamo stati i primi. Lui però si è fermato per dedicarsi ad altro. In famiglia non c’erano appassionati di calcio, però tutti mi hanno seguito fin da piccolo. Mi accompagnavano alle partite e ai provini fino a quello decisivo con il Torino.

Ha un po’ rammarico per il fallimento del Torino nel 2005?

Ho rischiato di smettere. Ricordo il mio esordio in Serie B nel 2004. Nel gennaio 2005 il Toro prese Gianluca Berti per metterlo accanto al giovane Stefano Sorrentino, così andai via in prestito alla Pro Vercelli. Quando tornai per partecipare al ritiro per la A ci fu il fallimento col presidente Franco Cimminelli. Fummo costretti ad andare via: chi aveva già nome ci mise poco a trovare una nuova squadra, i più giovani invece fecero più fatica. Io trovai una sistemazione il 31 agosto grazie a Sandro Turotti, ex direttore sportivo della Pro Vercelli, passato all’Albinoleffe. Mi mandò in prestito in C2, rientrai nel 2006-07 in B contro Juventus, Napoli e Genoa. Diventai titolare con Emiliano Mondonico. L’anno dopo ci giocammo la finale playoff col Lecce per la promozione in A.

Poi è andato al Cagliari: che bilancio fa della sua esperienza in Sardegna?

È stato il trampolino di lancio. Quando ci sali sopra, hai due opzioni: puoi toccare il punto più in alto e quello più in basso. Ho fatto due anni strepitosi con Massimiliano Allegri finché non è stato mandato via in seguito ai conflitti con Massimo Cellino. L’ultima stagione sono finito fuori rosa per volere del presidente dopo un’intervista in cui avevo rivelato il mio mancato passaggio alla Sampdoria. Il Cagliari però ha creduto in me e gli sono grato.

Che cosa ricorda di quei mesi?

Avevamo fatto causa per mobbing. Mi sarei dovuto liberare a novembre 2010. Avevamo trovato un accordo col Milan, purtroppo non sono riuscito a lasciare Cagliari per tempo. Sono andato via nell’estate 2011 al prezzo concordato di 5 milioni di euro, quanto ero stato pagato tre stagioni prima.

Quindi avrebbe potuto seguire Allegri al Milan…

Il mister mi voleva. Il titolare era Christian Abbiati, io avrei fatto il secondo per provare a sostituirlo nelle stagioni successive. 

Com’era l’Allegri del Cagliari?

Aveva già attitudini da grande allenatore, era geniale nelle sue intuizioni, sapeva gestire il gruppo. Nel 2008-09 siamo arrivati noni in campionato. Un Cagliari così mancava da tempo. Abbiamo vinto a Torino contro la Juve e pareggiato con l’Inter di José Mourinho. Giocavamo sempre per fare gol e per vincere. Si vedeva la mano di Allegri. Quando lo rivedo provo grande piacere.

Com’è stato vivere il Mondiale 2010 da titolare dopo l’infortunio di Gianluigi Buffon?

Quando sai di giocare un Mondiale ti aspetti sempre il meglio, purtroppo non è andata così. Nelle stagioni successive sono saltate fuori le problematiche del calcio italiano. Nel 2014 siamo usciti in un girone (Inghilterra, Costa Rica e Uruguay) che non era tanto più difficile di quello del 2010 (Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia). Dopo la vittoria contro gli inglesi sembrava che fossimo passati e invece siamo usciti. Abbiamo fallito nel 2018 e 2022. Mi sono ritrovato in campo quando iniziava il declino dell’Italia.

Quindi Antonio Conte ha fatto un mezzo miracolo nell’Europeo 2016?

Conte ha dato un grosso input. Ricordo le sue parole a Coverciano: “Ci sono squadre che sono più forti noi, ma se voi mi seguite e avete voglia di fare fatica saremo fastidiosi per tutti”. Siamo usciti con la Germania ai rigori ad un passo dalla semifinale. Aveva creato un gruppo incredibile. Correvamo più degli altri. Tutti sapevano che cosa dovevano fare. C’era un’alchimia speciale.

A Roberto Mancini invece è riuscito il miracolo per davvero…

Mancini ha avuto più tempo rispetto a Conte per rivoluzionare la Nazionale creando un mix tra i giovani, che dovevano entrare piano e piano, e gli uomini già determinanti, pensa a Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci e Gianluigi Donnarumma.

Come se ne esce da questo momento?

Il movimento va rifondato dalle regole. Ci sono tanti giovani forti che dovrebbero giocare di più. Si cresce sbagliando. Io ho fatto il percorso di una volta: dalla Primavera andavi in C, poi salivi di categoria se dimostravi il tuo valore. Da un lato è più facile perché se sei bravo ti buttano dentro, dall’altro rischi di tornare indietro se non hai un bagaglio che ti permette di reggere le critiche in A.

Lei ha incontrato grandi mister nel suo percorso: che Stefano Pioli ha conosciuto alla Lazio?

È arrivato nel 2014-15 dopo un’annata turbolenta chiusa con la salvezza. Pioli ha rifondato la squadra. Ha lavorato sotto l’aspetto tattico dando nuovi principi a livello difensivo ed equilibrio. Giocavamo col 4-3-3, spesso con la variante 4-2-3-1 che fa al Milan. Il primo anno con Pioli è stato incredibile: siamo arrivati terzi, purtroppo il k.o. con la Roma ci ha impedito di chiudere secondi. Era una Lazio aggressiva, giocava bene, attaccava gli spazi. Tutte cose che rivedono nel Milan. Al secondo anno alla Lazio invece Pioli ha fatto fatica perché la rosa era corta e competere su tre fronti non era semplice. È stato esonerato avendo poche responsabilità.

Sotto quale aspetto Pioli è cambiato invece?

Si è evoluto perché il calcio dal 2015 ad oggi si è trasformato tanto. Adesso c’è grande attenzione nei confronti degli avversari. Ci si muove tanto anche senza palla, si attaccano sempre gli spazi. 

Come lavora Inzaghi dal punto di vista tattico?

Ci sono stati due Inzaghi: il primo quello subentrato a Pioli, il secondo quello confermato dopo il mancato arrivo di Marcelo Bielsa. Simone aveva ampliato il suo staff. C’era Mario Cecchi, il tattico che gli dà una grande mano all’Inter. Gli allenamenti del secondo Inzaghi erano differenti rispetto a quelli del primo Inzaghi. Abbiamo iniziato col 4-3-3 poi diventato 3-5-2. La sua Inter mi ricorda quella Lazio: penso ai tre centrali che salivano per creare superiorità numerica e si lanciavano in avanti alla ricerca del gol. Così ha sfiorato lo scudetto 2019-20, quando si è vista la Lazio più bella. Quella squadra era impressionante. Si muoveva con meccanismi perfetti e poteva farti male in qualsiasi momento. Giocava di prima anche nelle zone di campo più rischiose. 

Qual è stato il suo giorno più bello con i biancocelesti?

Il 26 maggio 2013 quando abbiamo vinto la Coppa Italia contro la Roma. E quando abbiamo battuto il Napoli di Rafa Benitez 2-4 all’ultima giornata conquistando il terzo posto e l’accesso ai preliminari di Champions League. Abbiamo giocato tante finali di Coppa Italia e Supercoppa, purtroppo quando incontravi la Juve all’epoca era difficile batterla. Sono molto legato a Roma, ho preso casa e ho un sacco di amici. È la città dove ho scelto di vivere. Qui ho passato gli anni più belli della mia carriera.

A proposito di Pioli e Inzaghi: come finirà il derby di Milano?

Il Milan parte davanti perché è campione d’Italia, l’Inter si è rinforzata con il ritorno di Romelu Lukaku che però salterà il derby. Per lo scudetto vedo bene anche la Juve: se rientrano tutti gli infortunati può giocarsela alla grande. Subito dietro ci sono le squadre della Capitale: la Roma ha fatto il mercato più importante in A, la Lazio di Sarri ha automatismi consolidati e farà bene.

Tornando al suo ruolo: è più difficile fare il portiere nelle squadre di Allegri, di Pioli oppure di Inzaghi?

Penso che sia più facile farlo con questi tre allenatori che basano tutto sull’aggressività e sui principi che agevolano questo ruolo. Nel Cagliari di Allegri il portiere faceva lo stretto necessario con i piedi, oggi il mister gioca molto con l’estremo difensore. Inzaghi e Pioli lo sfruttano ancora di più: con loro il portiere diventa un libero aggiunto. Penso a Mike Maignan al Milan: sa giocare bene sul corto, ma sa anche pescare l’attaccante per andare in profondità con il suo lancio di 60 metri.

Che cosa le ha insegnato l’esperienza al Genoa invece?

Non rimpiango la scelta di andarci nel 2018, anche se vedermi scavalcare da Ionut Radu mi ha fatto male. Potevo andare a fare il vice di Alex Meret a Napoli, ma non me la sono sentita di aspettare. Se ti mettono fuori perché sei ultimo lo accetti, quando lo fanno ma sei settimo con una gara da recuperare è più difficile. Sono stato considerato responsabile per le goleade prese contro Sassuolo e Lazio. Mi sono messo lo stesso a disposizione e per questo motivo mi hanno rinnovato il contratto anche da secondo. 

Radu è stato massacrato dalla critica per l’errore in Bologna-Inter: quanto è difficile fare il portiere?

Tutti si ricordano del suo sbaglio, ma l’Inter non ha perso punti solo in quella circostanza. Fare il secondo a Milano non è facile, quando si fa male il titolare devi giocare gare che non sono normali. Mi dispiace per Radu perché lo considero un buon portiere. Fossi stati in lui anziché andare all’Inter avrei continuato a giocare in una squadra con ambizioni più basse per crescere ancora.

Se le chiedo nome e cognome di un giovane portiere italiano dal grande futuro, chi le viene in mente?

Marco Carnesecchi! Per il modo di giocare mi rivedo molto in lui: anche io da giovane attaccavo molto gli spazi, giocavo alto e uscivo parecchio. Per questo motivo la Lazio era molto interessata a lui prima dell’infortunio. Carnesecchi non si accontenta di parare. Avere un estremo difensore che non ha paura di rischiare toglie tanti problemi alla difesa.

Come si vede in futuro dopo il calcio giocato?

Ho preso il patentino Uefa B da allenatore, vorrei conseguire le abilitazioni Uefa A e Master. Non disdegno l’ipotesi di preparare i portieri, ma il mio sogno sarebbe combattere lo stereotipo secondo cui un ex portiere non può allenare l’intera squadra. Credo nel percorso fatto da chi è partito dal basso: penso a quello incredibile di Vincenzo Italiano che è arrivato in Serie A partendo dalla D.

Che tipo di allenatore sarà Federico Marchetti?

Ho avuto tanti mister bravi e vincenti. Penso anche a Gian Piero Gasperini al Crotone in B: si vedeva già che aveva idee fuori dal comune. Prendendo qualcosa da tutti posso fare un bel mix. Chiaramente poi ci dovrò mettere anche qualcosa di mio.

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